Ex Chimica Arenella, una città perduta| tra abbandono e sogni di rilancio - Live Sicilia

Ex Chimica Arenella, una città perduta| tra abbandono e sogni di rilancio

di ROBERTO IMMESI Quattordici edifici abbandonati tra degrado e rifiuti, mentre il Comune non sa ancora cosa farne e deve fare i conti con progetti fermi al palo e tolti dal Piano triennale. Ecco uno dei siti di archeologia industriale più grandi di Palermo per il quale, secondo i tecnici di Palazzo delle Aquile, servirebbero cento milioni di euro.

PALERMO - IL REPORTAGE
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PALERMO – Una città nella città fatta di casermoni, torri d’acqua, ciminiere, capannoni ormai ridotti a ruderi industriali e discariche. Una città perduta che potrebbe rappresentare la svolta per la borgata dell’Arenella e diventare uno dei punti qualificanti del prossimo Piano regolatore generale, ma per la quale servirebbero fino a cento milioni di euro. Eccola l’ex Chimica Arenella, un sito che si affaccia sul mare, un tempo esempio di una Palermo produttiva e industriale e oggi sede di qualche piccola azienda ma anche di parcheggi, abusivi che ne occupano alcune parti, chili di amianto fortunatamente portati via, spazzatura a mai finire, per giunta un edificio comunale in parte abbandonato a se stesso in una città che spesso è a corto di spazi.

Quasi 74mila metri quadrati che, nelle intenzioni del Comune, potrebbero essere destinati al turismo, alla cultura o comunque alla fruizione del mare e che la commissione Urbanistica di Palazzo delle Aquile ha deciso di riprendere in mano (con un sopralluogo ad hoc), specie dopo che l’ultimo piano triennale delle opere pubbliche ha depennato due progetti di riqualificazione da quasi otto milioni che potrebbero essere finanziati dalla Regione, essendo in una graduatoria a scorrimento.

Oggi, però, il sito si presenta in pessime condizioni. L’ingresso è libero e del resto non potrebbe essere altrimenti, visto quello che rimane. Qui fino agli anni Quaranta gli edifici, di cui ormai sono rimasti gli scheletri, ospitavano gli impianti industriali e i fabbricati (in tutto 14) voluti da imprenditori tedeschi agli inizi del Novecento per la produzione dell’acido solforico e citrico, divenuti durante la Grande guerra tra i più importanti al mondo. Una parabola che presto divenne discendente, fino al passaggio negli anni Quaranta allo zuccherificio Montesi, alla chiusura alcuni anni dopo e alla cessione definitiva al Comune nel 1998.

Passeggiando tra i viali, accanto ad alcune aziende nautiche che tutt’ora operano, rimangono gli scheletri di vecchi palazzi pieni di rifiuti, una torre dell’acqua messa in sicurezza, vetri rotti, cani randagi e sporcizia per un’area di netto storico che la notte diventa terra di nessuno. Negli anni Novanta l’allora amministrazione Orlando aveva pensato (ma mancavano i fondi) di trasformare il lato a monte, oltre la strada, in un incubatore di imprese e quello a mare in località ricettive e servizi per il quartiere come l’anagrafe. Poi, con Cammarata, sono partiti alcuni lavori di recupero ma a macchia di leopardo: un primo stralcio per il recupero della costa, un appalto da 6,6 milioni (fondi europei) per il recupero della torre d’acquea e la creazione di una piazza con una strada a mare bloccato per il fallimento dell’azienda. E ancora due progetti per la trasformazione di alcuni ruderi nella stecca commerciale e nella fiera delle idee (sul modello di Hannover) per altri otto milioni, con l’obiettivo di farne un polo per le telecomunicazioni e le imprese ad alta specializzazione tecnologica (tant’è che qui arriva anche l’anello telematico). Progetti ancora al palo, in attesa di scorrimento della graduatoria, ma che l’amministrazione Orlando ha già fatto sapere di non voler realizzare. Con buona pace di tutte le spese di progettazione sostenute negli anni. Il Comune con Cammarata aveva anche chiesto idee ai privati ma senza successo, e così aveva fatto tutto da sé ipotizzando anche 21mila metri quadrati di giardini, 20mila di verde e un parcheggio (anche a servizio del vicino cimitero) di 24mila metri quadrati. Tutto rimasto sulla carta.

In uno degli spiazzi fa bella mostra lo scavo effettuato per la rimozione dell’amianto, costato un milione di euro e sottratto ai fondi per il parcheggio interrato. Ma questi progetti, pensati da Palazzo delle Aquile, dovevano semplicemente servire per attirare investimenti privati: negli anni si è pensato a costruire qui l’acquario che oggi si vorrebbe fare alla Bandita o alla Cala, piuttosto che alberghi o poli congressuali. Ma la vicinanza della Fiera del Mediterraneo sconsiglia di farne un centro congressi, così come il Prusst 63 dovrebbe veder sorgere un hotel di lusso a pochi passi. E quindi? Il Comune, dicono i tecnici, dovrebbe intanto recuperare l’area e destinarla alla fruizione del mare e quindi al turismo, poi toccherà ai privati decidere di preciso cosa farne. Percorrendo l’area verso Nord si arriva a un’altra zona, ancora più disastrata, nella quale dovrebbero intervenire solo i privati. Per fare cosa, ancora non si sa. Ed è forse questo uno dei maggiori problemi dell’ex Chimica: un’area talmente grande che perfino il pubblico ha difficoltà a trovare le risorse e a pensare a come sfruttarla al meglio, anche se il nuovo Prg imporrebbe idee chiare in una zona della città in cui altri luoghi attendono di conoscere il proprio futuro: dal mercato ortofrutticolo alla Fiera, passando per la caserma Scianna. Un’area che paga lo scotto anche di una viabilità scadente, con la via Papa Sergio I stretta come un budello.

“E’ sicuramente un patrimonio straordinario della città – dice Pierpaolo La Commare del Mov139 – la Palermo del 2050 va pensata anche in funzione della destinazione dell’ex Chimica Arenella. Il nuovo Prg dovrà affrontare questo tema e qualunque destinazione abbia bisogna passare da un ripensamento della mobilità per tutta la borgata. Le attuali strade non consentono un flusso di traffico che un polo turistico, museale o congressuale determinerebbe”. Per il presidente della Sesta commissione, Alberto Mangano (Mov139), “un bene dal potenziale enorme è in balìa del degrado, con procedure interrotte e non riprese. Ci vuole un piano B, perché l’ex Chimica è l’immagine del degrado dell’amministrazione: nessuno si preoccupa di far ripartire gli appalti e la Regione li finanzia in zona Cesarini. La Pubblica amministrazione non funziona”.

“Non siamo intenzionati a perdere quei soldi, le opere vanno rimesse nel piano triennale – dice Giulio Tantillo di Forza Italia – oltre agli otto milioni per la fiera idee e la stecca, ce ne sono altri 6,6 bloccati: circa 15 milioni che riteniamo sia giusto spendere per riqualificare la zona. I privati dovrebbero intervenire per poter apportare il loro contributo in una zona di grande sviluppo, ricordiamoci che a due passi c’è il mare. La riqualificazione è importantissima per la borgata e per Palermo e si potrebbe pensare anche a fare qui l’acquario. Bisogna studiare una soluzione, credo che il Comune e alcuni imprenditori palermitani, come la cordata che ha presentato un primo progetto, potrebbero muoversi in quella direzione”. “Abbandonare la progettazione è un danno per la Pubblica amministrazione – dice Rosario Filoramo del Pd – che senso ha dopo aver pagato anche dei professionisti esterni e aver impiegato risorse? La destinazione finale merita un approfondimento, io sono per quella turistica”. E se Alessandra Veronese del Mov139 si dice a favore “del reinserimento immediato dei progetti nel piano triennale, perché riqualificare anche solo una parte sarebbe importante per attirare i privati e creare opportunità”, per il compagno di partito Francesco Mazzola “è un peccato che una grande area che potrebbe ospitare di tutto non sia a disposizione della città”.

Ai margini dell’area sorge poi un edificio di quattro piani, sede di una parte dell’archivio comunale. Un edificio praticamente fatiscente, che fino a qualche anno fa ospitava l’associazione Caput Mundi legata all’allora assessore Franco Mineo. In un piano ancora campeggia qualche manifesto elettorale, ma a colpire sono i “resti” delle attività che una volta si svolgevano qui: dai computer alle sedie, passando per librerie, impianti stereo, proiettori di lucidi, fatture buttate per terra, rifiuti, resti di scenografie, cartelloni, perfino una sala per l’attività fisica. Una struttura tutto sommato solida, senza umidità, che avrebbe bisogno di un minimo di manutenzione per tornare fruibile. In un piano poi c’è quello che dovrebbe essere un archivio comunale: un corridoio in cui piove dentro, pieno di impalcature, con ai lati stanzoni chiusi a chiave che contengono di tutto, da faldoni di carte a mobili, passando per divani, tavoli da disegno, materassi e cianfrusaglie varie. Un monumento all’abbandono di cui nessuno sembra prendersi cura, se non qualche solerte (e solitario) burocrate comunale.

 


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