Benny Cannata: cuore, sudore e pugni | "Il titolo a 33 anni per lasciare un segno" - Live Sicilia

Benny Cannata: cuore, sudore e pugni | “Il titolo a 33 anni per lasciare un segno”

di ROBERTO PUGLISI (Intervista di GIADA LO PORTO) Questa è la storia di un pugile palermitano. Ma dimenticate Rocky Balboa. Benny Cannata vale di più.

PALERMO – Dimenticate Rocky Balboa. La storia di Benny Cannata – pugile medio-massimo palermitano che il 23 marzo prossimo salirà sul ring contro un coriaceo ungherese al Golden – ha più sostanza. Non ci sono muscoli finti. Né Apollo Creed da battere per poi farci amicizia. Né Adrianaaaa da urlare in favore di telecamera con gli occhi ammaccati dai cazzotti, le mucose sfrante e l’ugola in mondovisione. C’è un ragazzo di trent’anni che ha cominciato a salire i gradini. E se cominci a salire, qualunque sia la scala o la stagione, c’è un motivo nobile. Sa di passione l’autobiografia di Benny. Per i pugni che dai, per quelli che prendi sul naso e fanno un male cane. Per i guantoni appesi, per i guantoni ancora da appendere. Perché ci sono mani operose che devono disboscare la strada verso il gran finale. Il sogno di Benny è il titolo italiano dei medio-massimi. Accanto c’è Salvo, il cugino. L’allenatore. L’ombra fedele. Il sostegno incrollabile.

Una palestra sotterranea in piazzale Del Fante. Locali ampi. Il ring in un angolo. Il sacco. Qui di primo pomeriggio avvocati, impiegati e dottori corrono ad allenarsi con una faccia guerriera. In serata tocca ai giovanotti che della boxe vogliono imparare il mestiere. C’è la foto di Tyson sul muro. Benny si presenta. Corporatura da quercia. Impastatrici al posto degli arti superiori. Occhi azzurri e bambini che lo rendono simile – solo nelle pupille – a uno qualunque dei sette nanetti di Biancaneve: è l’immagine che lampeggia, per dire la delicatezza nascosta di una macchina da battaglia. Guarda con venerazione il poster. E attacca. “Tyson è il mio idolo. Dicono che fosse cattivo, una bestia. Io sono nato con lui, guardando i suoi incontri, appassionandomi al pugilato grazie a lui. Ricordo benissimo quando staccò l’orecchio a Holyfield con un morso. Mike spiegò in seguito che quello gli aveva aperto un sopracciglio con una testata e continuava a picchiarlo. Oh, io non lo giustifico, però…”.
Però, alla palermitana, se uno ti incalza a colpi di testa, morderlo è il minimo sindacale. I boxeur delle nostre contrade sono stati sempre dalla parte del cattivo di turno, o sono stati i cattivi di turno, perché alla fine il cattivo è un buono che si sente tradito. Pino Leto, per esempio, il mito. Una volta il suo avversario lo pregò a nocche giunte: “Pino, non farmi del male”. Combatterono per finta, fino a quando il fedifrago non mollò una sventola assassina sul volto dell’interlocutore misericordioso. Che lo inseguì. Lo picchio. Lo stese. E infine, mentre l’arbitro contava, gli soffiò sul muso: “Susiti ca c’è u’ riestu!”.

Benny non è cattivo. Gli piacciono un po’ i cattivi. Cioè i buoni col cuore strappato e gettato via. “Ho cominciato tardi – racconta -. Avevo ventun anni e stavo prendendo peso. Ho scelto la boxe per salvaguardare la forma. Il resto è venuto spontaneamente”. Cioè, la boxe ha scelto lui. “Voglio arrivare a competere per il titolo italiano dei pesi medio-massimi. Mi aspetta un bell’incontro sulla strada che conduce al traguardo”. Janos Olah è un avversario tosto. Un ungherese che sa il fatto suo. La cornice sarà il Golden di via Terrasanta. Pugni ed emozioni a teatro, come se fosse una rappresentazione. “Sì, ho cominciato tardi. Ho trentatrè anni. Questo può essere un vantaggio, se lo sai sfruttare. Ho conosciuto colleghi che hanno iniziato da ragazzini. A vent’anni hai il cervello distrutto, sei un rottame. Io sono arrivato allo sport professionistico già maturo, con la capacità di prendere le decisioni giuste. Lavoro, giorno dopo giorno, mi alleno, mi massacro per inseguire il mio obiettivo. Vorrei lasciare un segno”. Anche il modo in cui è stata aperta la sua palestra, la “Suprema” in viale del Fante, è una piccola pepita, un segno del destino. “Era di un amico. Mi ero rivolto a lui per vedere se poteva darmi un posticino da istruttore. Per una serie di coincidenze fortunate, adesso sono il proprietario. Ringrazio i miei genitori che mi hanno aiutato. Ho ri-pagato tutto io, con l’impegno quotidiano. Avevo esordito con la moda. Papà e mamma hanno un salone di bellezza. Ho mollato i divertimenti, le serate, le uscite, la bella vita dei giovani. L’arma di un pugile è il suo corpo. Ci vuole una cura pazzesca, con mille rinunce. Andare a letto presto, allenarsi con costanza. Da quando ho scelto il mio percorso non c’è stato spazio per altro”.

Amore folle che brucia in cantina. La dieta era una scusa plausibile, in superficie. C’è un sognatore che desidera salire i gradini sulla scala dei cazzotti in faccia, la più dura, l’acrobazia che i comuni mortali affrontano per metafore sul quadrato di un’esistenza apparentemente più protetta, mentre i guerrieri salgono sul ring, senza giri di parole. “I pugni fanno un male assoluto. La prima volta è tremenda. Li prendi e li dai con rispetto, perché il rispetto è la base della boxe. Il tuo avversario si è fatto un mazzo così, proprio come te. Condividi il sudore e la voglia matta di mandarlo al tappeto”. E poi ci sono i ring infiniti, le infinite strade che rischiano di non portare a nulla. “Palermo non ama il pugilato. Lo pratica un po’, ma non lo ama. Chissà perché”. Forse perché siamo spettatori da tribuna. Preferiamo maledire da lontano, evitando di sporcarci la giacca.

Invece Benny ci prova, col cuore che batte forte: “E’ la mia sfida alla mia età. Mi piacerebbe avere qualcosa di mio nella bacheca. Quando ero sparring partner dei campioni collezionavo botte per gli altri. Mi sono detto: magari le botte potrei raccoglierle per me. E domani mi piacerebbe allenare mio fratello che ha diciotto anni. La mia vita è ormai qui, col sacco e con i guantoni. La mia vita è un segnale di speranza. Tutti possiamo tentare”. Perciò, ci prova il ragazzone quercia con gli occhi puliti. La prossima tappa è il Golden. Non si è mai troppo vecchi per mettere le ali ai pugni.


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