Il vampiro di piazza Europa | Memoria della festa del papà - Live Sicilia

Il vampiro di piazza Europa | Memoria della festa del papà

Non scorderò mai quella sera, quando un padre e un figlio, armati solo del loro coraggio, affrontarono il pipistrello che minacciava la serenità di tutti. Una storia per il 19 marzo.

C’era questo pipistrello vampiro che metteva paura a tutta piazza Europa. Si vedeva al tramonto, soprattutto dietro un cancello arrugginito. Perciò, a un certo punto, si rese necessario scendere in campo, trovare il coraggio, debellare il mostro, per ridare serenità alla gente impaurita. Una sera mio padre mi guardò che pareva John Wayne. E disse soltanto: “Andiamo”. A piazza Europa io ci sono nato e cresciuto. Per i passanti è una piazza come tante, nella toponomastica di Palermo. C’è il barbiere. C’è il panettiere. C’è il rosticcere. Tutti i servizi essenziali qui finiscono in “ere”. C’è anche la chiesa. Per me era lo scrigno sepolto, il tesoro da ritrovare ogni mattina d’estate, quando i bambini si alzano dal letto felici che la notte sia già passata.

Era una mezza sera di luglio, profumi dolcissimi invadevano l’aria, la tv in bianco e nero dava una partita della Germania Ovest. Mio padre mi fissò che pareva Leonida con i trecento delle Termopili, anche se io ero solo. Disse: “Andiamo”. Avevo dieci anni e un cuore pieno di lampi.

Dunque, andammo a caccia del pipistrello, perché volevamo liberare piazza Europa dal male. Andammo armati del nostro valore di padre e figlio, delle letture di corsari e mari che ci inebriavano, delle pistole giocattolo. Andammo armati di noi stessi. Infine lo scovammo. Il mostro era acquattato dietro il cancello arrugginito. Sogghignava con i suoi occhi verdi. Non dimenticherò mai la faccia di mio padre quando prese un sasso e lo lanciò. Il pipistrello colpito cadde senza un grido. Eravamo salvi.

Fu una sera indimenticabile di gioia. Io avevo dieci anni, un cuore pieno di lampi, occhi neri che guardavano le immagini del mio oltremondo e scorgevano altri occhi, verdi, dove non c’erano. Mio padre era un bambino come me, appena un po’ più grande. Si chiamava Antonino. Sapeva prendere le mie paure su di sé e mi lasciava i sogni.
(E in fondo questa è solo la storia di un padre e di un figlio, di una dolcissima sera di luglio, di un sasso e di una camicia nera, non molto simile a un pipistrello, stesa fra due corde ad asciugare).


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