Ci sono anch’io!| I minorenni e Facebook - Live Sicilia

Ci sono anch’io!| I minorenni e Facebook

Il rapporto dei minori con Facebook, specialmente se sfugge completamente al controllo genitoriale, sembra essere quel famoso problema che tutti hanno, ma nessuno vuol ammettere.

Il grido di allarme si è levato da parte della Commissione europea già nel 2011, quando il rapporto Social Networking, Age and Privacy, pubblicato da EU Kids Online, ha rivelato alcuni dati, peraltro destinati a crescere: su un campione di venticinquemila giovani di 25 Paesi Ue, il 77% dei ragazzi dai 13 ai 16 anni utilizza social network, insieme al 38% dei bambini dai 9 ai 12 anni.

Il commissario europeo per l’Agenda Digitale, Neelie Kroes, ha espresso preoccupazione per la scarsa sicurezza offerta dai social network ai minorenni, dato che i siti non assicurano “che i profili dei molti minori presenti online siano accessibili solo ed esclusivamente ai contatti approvati da loro”. Su Facebook, in particolare, pare che i più piccoli siano maggiormente esposti al contatto con predatori sessuali: di contro, avere un “profilo” è la richiesta più pressantemente rivolta ai genitori già dai bambini delle elementari, non ancora in grado di comprendere i rischi ai quali si espongono mettendo in rete le proprie informazioni personali, che aumentano in modo inversamente proporzionale rispetto all’età: se il 78% dei quindicenni è capace di modificare i parametri per proteggere i dati privati, ben il 56% dei ragazzini tra gli 11 e i 12 anni sconosce, o non usa, tali procedure.

Secondo il report, nonostante le restrizioni e i divieti, un numero sempre crescente di bambini ha un profilo su Facebook; nonostante il sito fissi l’età minima di accesso a 13 anni, un quinto degli intervistati di età inferiore utilizza Facebook, ha un profilo visibile da tutti, ha inserito nella sua pagina il proprio indirizzo e persino il numero di telefono e, infine, è in contatto con persone conosciute online.

O meglio, con perfetti sconosciuti. E se è vero che i nativi digitali sono molto più esperti degli adulti nell’uso di internet e della varia strumentazione tecnologica, è anche vero che manca loro la sensibilità alla tutela della privacy e della sicurezza, che non visualizzano come obbligo imprescindibile. La sfida non sarebbe tanto demonizzare Facebook (col rischio di renderlo ancora più appetibile) quanto far sì che tanta dimestichezza con le nuove tecnologie li metta in grado di imparare velocemente, compresane la necessità, a proteggere il loro profilo online da intrusioni indesiderate.

Il rapporto dei minori con Facebook, specialmente se sfugge completamente al controllo genitoriale, sembra essere quel famoso problema che tutti hanno, ma nessuno vuol ammettere, pur se pronto ad individuarlo nella famiglia del vicino o dell’amico di turno. Ovvio che chiunque abbia figli piccoli ne è coinvolto. Il problema della privacy dei propri figli è una questione molto spinosa, non solo ai massimi livelli, per i crimini legati alla sfera sessuale, ma anche per la dissennata diffusione di informazioni importanti legate alla sfera famigliare ed alla sua sicurezza, come pure all’uso indiscriminato delle immagini, proprie ed altrui.

Sappiamo tutti che l’era digitale ha rivoluzionato i nostri comportamenti e ci è altrettanto noto che la nostra dipendenza da internet, tablet, smartphone, non fa che crescere. Mentre ne godiamo i benefici, il problema che si è evidenziato, il rapporto tra i bambini e la rete, assume più aspetti. Nel nostro Paese, e soprattutto in Sicilia, una diffusione inferiore della tecnologia rispetto al trend europeo lo tiene ancora sotto i livelli di all’erta. Una nuova “cultura” sul corretto uso della comunicazione digitale tarda a diffondersi; e poiché dovrebbe crescere innanzitutto nella scuola, che invece vive realtà inadeguate o arretrate, in attesa che le istituzioni si adeguino, sono ancora le famiglie a ricoprire un ruolo determinante. Acclarato che siano da evitare divieti che rischiano di restare lettera morta, la via da percorrere sarebbe un percorso guidato dalla famiglia nella scoperta delle nuove tecnologie da parte dei bambini, ai quali, come in una favola, si potrebbe raccontare che “c’erano una volta le lettere”.

Un liceo umbro ha condotto all’interno delle sue mura un’indagine di grande interesse, che, se replicata su scala nazionale, fornirebbe presumibilmente analoghi risultati. Il 94% dei giovani intervistati possiede un personal computer; il 91% ha un proprio profilo su Facebook. Il 39% dei maschi e il 32% delle femmine vi si connette meno di un’ora al giorno; il 31% degli uni e il 18% delle altre gli dedicano da una a due ore al giorno; infine il 23% di ragazzi e un 39% di ragazze lo usano per più di due ore (dichiarate) al giorno.

Il 50% dei maschi e il 65% delle femmine è diventato amico nella vita reale di persone conosciute attraverso Facebook. Però ben l’87% dei giovani ritiene più importanti le amicizie reali rispetto a quelle virtuali. E’ stato chiesto se sia più facile farsi un amico stando al computer: il 33% ha risposto decisamente di sì, il 20% ha affermato di sentirsi più sicuro di sé quando chatta, rispetto a quando parla di persona, il 26% ha dichiarato che è più facile comunicare i propri sentimenti scrivendo al computer. Il 62% dei maschi e il 44% delle femmine ha rivelato di aver corteggiato una ragazza tramite Facebook. Se il 61% dei giovani ha ristabilito grazie al social i rapporti con parenti o amici dispersi, per aver accettato amicizie anche di sconosciuti (60% degli intervistati), talvolta solo per accrescere il numero degli “amici”, è incorso in brutte esperienze. Coperti dall’anonimato, infine, quattordici studenti su cento hanno ammesso di avere un profilo falso. Alla domanda “Ti senti dipendente dal social network?” la metà degli intervistati risponde negativamente, e solo un (onesto) cinque per cento ammette di esserne totalmente dipendente. Di questi ragazzi, il 18% ha almeno un genitore che è su Facebook: la rivoluzione nelle comunicazioni non è solo un fenomeno giovanile.

Ma esaminiamo in che modo Facebook prova a preservare la privacy dei più piccoli. La prima regola sarebbe, come si è detto, che è negata l’iscrizione ai minori di 13 anni, ma va da sé che i bambini possano crearsi un account mentendo sulla data di nascita, quando non vengano aiutati da genitori e zii compiacenti, fieri del loro piccolo genio informatico. Lasciamo per brevità ad altri l’analisi delle implicazioni infinite di questa attitudine alla mistificazione, sotto vari profili, rispetto alla formazione della personalità, alla creazione di false identità, all’assuefazione a codici morali distorti e alla violazione impune delle norme, e fingiamo che, in effetti, solo a partire dai tredici anni ci si accosti al sistema.

Facebook ha una pagina, Minorenni e Privacy, che oltre a fornire gli strumenti e le impostazioni che consentono di selezionare con chi connettersi e condividere dati, offre misure per limitare le interazioni dei minori e l’accesso a strumenti di formazione che spiegano cosa significhi pubblicare “pubblicamente”. Le informazioni riservate, come le informazioni di contatto, possono essere criptate negandone l’accesso a estranei e viene ricordato ai ragazzini che devono accettare solo le richieste di amicizia ricevute dalle persone che conoscono.

Anche i messaggi sono stati progettati con una protezione aggiuntiva per evitare che ricevano messaggi da sconosciuti. Se un minore (come un adulto, del resto) riceve un messaggio che lo fa sentire a disagio, deve segnalarlo e bloccare il mittente; può anche attivare il controllo del diario per controllare i post in cui viene taggato prima che appaiano. Dal momento che è particolarmente importante che i minorenni riflettano prima di far sapere dove si trovano, come impostazione predefinita viene disattivata la condivisione della posizione.

Vista così, l’innovazione non è un male da combattere, ma un processo di miglioramento sociale; ma viene da chiedersi quanti piccoli utenti, a meno di non avere una guida attenta, si soffermino nella lettura di queste norme, e quanti immettano nel sistema un dato veritiero rispetto alla loro età reale. Dopo tutto, se è facile glissare mamma e papà, magari sarà ancora più facile bypassare le regole del network, e tuffarsi nella gara per il numero di amici o i like sulle foto o sui link.

Facebook sta provando a offrire una possibile soluzione consistente nel collegare gli account di genitori e figli per consentire ai primi di tutelare la privacy e la sicurezza dei secondi, e gli informatici di Palo Alto stanno mettendo a punto un sistema che permetta legalmente anche agli under 13 di avere un profilo, sotto il controllo genitoriale.

Nel frattempo, è nato Twigis, il social network per i bambini tra i 6 e i 12 anni, che propone news selezionate, chat controllate, moderazione costante, niente foto di bimbi, ma solo avatar.

In attesa che le novità sulla sicurezza dei minori prospettate da Facebook diventino realtà, se parlare coi propri figli delle loro esperienze nel mondo digitale appare difficile, monitorare quello che accade nella loro esistenza “virtuale” oltre che in quella materiale, consentirebbe di proteggerli dai rischi della rete, quelli gravi, di vitale importanza, come anche di difenderne il nome, la reputazione e l’immagine: quei dati personali, insomma, che nel bene e nel male ti restano “connessi” per la vita. E che, mentre in passato, si potevano col tempo occultare, oggi, in un clik, colpiscono con la forza di un boomerang.

 


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