Piccoli cuori in piccole celle - Live Sicilia

Piccoli cuori in piccole celle

Basterebbe pensare ad una mamma che si trova in stato di reclusione in un carcere siciliano con il proprio figlio piccolo.

Immerso nell’universo-mondo, risalta un universo-carcere fatto di disordini, rivolte ed atrocità. Fin qui, niente di nuovo. Se poi però, quest’ultima realtà risulta essere l’ambiente di vita di bambini dai 0 ai 3 anni, ecco che lo scenario agli occhi della società, comincia a mutare. Si tratta di particolari categorie di minori, prole di madri autrici di reato che si trovano ad espiare presso gli Istituti penitenziari le proprie colpe. Molto spesso le donne si trovano nella condizione dover scegliere se portare con sé i propri figli. Non è raro che a causa di ciò, si compia la sopraffazione delle volontà deboli di piccoli cuori e che i bambini vengano rinchiusi in celle piccole, buie ed umide. I silenzi assordanti di un reparto femminile, vengono interrotti dalle urla di bimbi la cui anima è prigioniera del proprio corpo.

Così, la polvere che si alza grazie a qualche piccola folata di vento proveniente da una finestra fatta di grate sembra quasi una magia, qualcosa di cui provare meraviglia, come solo i bambini riescono a fare. Lo stupore nel vedere un viso che gli sorrida, risplende nei loro occhi. Occhi che, escluso qualche breve istante, sono cupi, tristi, privi di spensieratezza. Non hanno possibilità di poter socializzare con nessuno, se non con le proprie madri.  Basterebbe pensare ad una mamma (la chiameremo Anna) che si trova in stato di reclusione in un carcere siciliano con il proprio figlio. Il bambino si trova recluso, senza averne colpa, dal momento della nascita. Non conosce altro che le mura fredde di quella cella e il venticello delle tre del pomeriggio (il momento in cui per un ora viene data la possibilità di passeggiare all’interno dell’area comune). Il piccolo è un bambino nervoso, urla, piange, ha uno sguardo sostanzialmente vuoto e mangia a stento.

La donna, per la condizione in cui versa, è costellata da una serie infinita di altri pensieri che le incupiscono ancora di più la mente. Probabilmente è mamma di altri figli che ha dovuto lasciare a casa. Come accade in questi casi, gli operatori sociali interni alla struttura, si domandano come un carcere possa consentire un corretto sviluppo e cosa significhi accondiscendere al crearsi di un legame molto stretto con la madre nei primi anni di vita per poi infliggere il dolore di una separazione traumatica della diade, al mero compimento del terzo compleanno del piccolo. Lo Stato può vantarsi di tutela del minore in questo caso? L’evidenza sembrerebbe dire il contrario.


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