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Quattro presidenti |per una rivoluzione

Crocetta, Lumia, Montante, Ardizzone. Sono i protagonisti della "Trinacria revolution". Sulla cui portata è bene interrogarsi

Da almeno un anno e mezzo, la Sicilia, ci viene detto, sta vivendo una rivoluzione. Vediamone i protagonisti e i contenuti nei quali si sta dispiegando. A capo della rivoluzione ci sono quattro fantastici presidenti: Crocetta, Montante, Lumia, ed infine Ardizzone.

La rivoluzione di Crocetta è stata presentata con più obiettivi: intanto, nel suo sbandieramento iniziale, creare una sorta di immagine a livello nazionale (per la cui operazione, ipotizziamo, saranno state investite risorse notevoli). Tratti dell’immagine: un uomo nuovo, solo al comando, incorrotto e incorruttibile, fuori dalle logiche immiserenti dei partiti, anzi fondatore di un movimento che ambiva a un riconoscimento nazionale. Fatte le debite proporzioni, una sorta di renzismo senza Renzi con una forte connotazione antimafia, anti corruzione, anti casta. E l’ambizione di rivoltare la Sicilia come un calzino. Quindi tante denunzie (una gran parte ripetute rispetto a quelle già fatte in passato senza cotanta pubblicità), un continuo mandare atti alla Procura, la rotazione del personale con le modalità di una deportazione forzata, la concentrazione e l’assunzione di tutte le competenze esistenti con la creazione di una Giunta del Presidente.

Sono stati raggiunti questi obiettivi? Quello che più viene posto in risalto è la “rivoluzione” nel settore della formazione. Che sino a questo momento si sta risolvendo in una “regionalizzazione” dei formatori per la felicità degli stessi, che lamentavano, prima, inganni e false promesse di stabilizzazione.

Dunque, in questo caso, la rivoluzione, al netto dello svelamento di truffe in gran parte già accertate e non occultate, per la buona sorte di una quota di lavoratori siciliani, che erano stati spesso sfruttati dagli enti, è sostanzialmente l’abolizione del mercato nel settore della formazione professionale. Misura apprezzabile sotto un certo profilo (quello assistenziale), ma che non può sicuramente definirsi rivoluzionaria.

Di altre “rivoluzioni” francamente facciamo fatica a riscontrarne, salvo la riforma delle Province di cui parleremo tra poco. Ma come ha detto qualcuno che di queste cose ne capiva, la rivoluzione non è un pranzo di gala, né si può farla con eleganza, serenità e delicatezza. E, quindi, possiamo parlare di rivoluzione in presenza di necessari compromessi rispetto a regole troppo assolute, di decisioni assunte e poi smentite, di silenzi su zone d’ombra?

La bandiera della rivoluzione è impugnata anche dal Presidente Montante, a capo delle Confindustria siciliana. Il quale, dopo sette anni di compartecipazione al governo della Sicilia, ogni tanto esce allo scoperto e dice cose di buon senso. Comunque, senza mai -per usare un sicilianismo – “bagnarsi”. Definisce quanto prima fatto un’opera di “destrutturazione”, propedeutica quindi alla rivoluzione vera e propria. Pericolosissima, annotiamo da parte nostra, se si limita, però in una seconda fase, a trasformarsi in una semplice stabilizzazione come sta avvenendo in molti casi. Si lamenta della poca attenzione dedicata allo sviluppo ( si pensi al ritardo nella progettazione del nuovo ciclo dei fondi europei) ed invoca personalità esterne che taglino la spesa e mettano ordine nei conti. Crocetta applaude, condivide, rivendica. Ora qui sorge un paradosso. La Regione ha un Assessorato al Bilancio con un organico di tutto rilievo, Ragioneria e Controllo di Gestione incluse. Rivoluzione significa azzerare queste competenze ammettendone implicitamente una loro incapacità? Il paradosso risiede proprio nell’entusiasmo di Crocetta che, al contrario, dovrebbe difendere i suoi uomini e che finisce per mostrarsi desideroso di una rivoluzione imposta da forze esterne. La storia si ripete rispetto alla tradizione di chiamate di eserciti stranieri per liberarsi di un despota, in questo caso, e la cosa fa sogghignare, l’Assessore al Bilancio “romano de Roma”. Ma, come ci hanno insegnato nelle scuole alte, la ripetizione della storia è tragedia; se reiterata, potrebbe divenire farsa.

Che fa il Presidente Lumia? Tesse una rete di dipendenza con persone che dispongono di gradi di potere. Esercitando su queste una duplice rassicurazione: intanto sul profilo penale (“se stai con me non ti succede alcunché” è una formula di rito). E poi su quello degli incarichi possibili con inclusioni ed esclusioni in nome, e qui si cade talvolta nel grottesco, della presunta propensione all’anti-mafia ed all’anti-corruzione. La sua rivoluzione è l’imposizione di un filtro, di una doppia pantofola da baciare, di un inchino comunque da porgere dai tanti Schettino siciliani. Intermediatore, spin-doctor (anche di se stesso), infaticabile Caronte che trasborda buoni e cattivi talvolta scambiandoli di posto. In sostanza, il suo contributo alla rivoluzione è quello di aver creato “sliding doors” per l’ingresso nel sistema di potere che può manovrare a piacimento. Esca Lombardo, entri Crocetta. Massimo Russo out, Cardinale in.

Siamo al Presidente Ardizzone, con velleità mai sopite di elevazione culturale e di cooptazione universitaria. “Sono allievo del presidente della Corte Costituzionale, Prof. Gaetano Silvestri”, ama ripetere ad ogni piè sospinto. Ma si dimentica di precisare la valenza del rapporto (allievo perché ne ha seguite le lezioni?). In lui la passione per la cultura è seconda solo a quella per la legalità, come ha platealmente dimostrato nominando Forgione (ex deputato di Rifondazione, fin oggi conosciuto come grande esperto di “drangheta”) al vertice di quello che è l’organo culturale per antonomasia della Regione, la Fondazione Federico II, già travagliata da poco edificanti vicende, ormai, secondo Ardizzone, consegnate al passato grazie a questa sua geniale trovata. Che senso avrebbe avuto, difatti, acquisire il consenso, persino il plauso, di quei quattro intellettuali che pur sopravvivono in Sicilia (in effetti ancora la rivoluzione non è arrivata alla fase della epurazione) nominando un qualsivoglia studioso ed esperto nei vari campi della storia culturale siciliana, magari persino di rango europeo? Meglio dichiarare come atout la presenza di quelle non definite “caratteristiche adatte per il ruolo che è chiamato a svolgere” per cui egli confida molto “sul lavoro di Forgione e nelle sue relazioni sociali e culturali”. Nella rivoluzione ha cercato di ritagliarsi una parte. Litigando, obiettando, riformulando senza cedere alla tentazione del buonista ma provando ad issare una sua stele personale nel Museo della Rivoluzione: la riforma delle province. Aggiustata last minute da un amministrativista messinese chiamato proprio da Ardizzone per una consulenza ad personam che forse eviterà morti e feriti in una battaglia per l’assoluta conservazione dello statu quo. E se anche contare (e vegliare) i cadaveri sarebbe potuto essere di qualche interesse, non è che la rivoluzione debba poi cambiare tutto tutto!

Intanto, i fantastici quattro supereroi della Trinacrian Revolution continuano ad esternare con un impatto di comunicazione che così si può sintetizzare. Una rivoluzione richiede ai suoi capi un curriculum e una presunzione di infallibilità assoluta. Visto che i “nostri” ancora non lo posseggono, per intanto dobbiamo pazientemente aspettare che lo inventino. Ben sapendo che nelle rivoluzioni alla fine emergono due generi di persone: quelli che la fanno e quelli che ne approfittano.

A proposito, apparterranno a questa categorie i nuovi direttori generali delle ASP nominati in base alla più oscena compenetrazione tra interessi politici, ambizioni personali e declinazioni di fedeltà? Il tutto alla faccia di principi meritocratici. Su questo tema la rivoluzione ancora non ha cucito un vestito decente da indossare!


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