Quell'intenso viaggio | nel cuore di Palermo - Live Sicilia

Quell’intenso viaggio | nel cuore di Palermo

Le luci pallide, il chiasso vuoto di sottofondo, i lampioni solitari e i portali delle chiese.

E’ già buio mentre percorre silenzioso quei vicoli e, attraversandone le “balate”, scivola via invisibile tra quegli ultimi testimoni di una storia quasi dimenticata, di una tradizione rinnegata.

Luci pallide si sforzano di mostrare agli angoli più oscuri impalpabili tracce della loro esistenza mentre i suoni rimbombano fino a trasformarsi in un brusio indistinto, sottofondo di voci indistinguibili come coloro cui appartengono: è un chiasso vuoto, non il rumore della vita che scorre ma di quella cui si sfugge.

E’ la sua città, la parte più antica, quella che resiste al passare del tempo apparentemente immobile e salda come una colonna a guardia di un tempo andato in rovina.

Eppure sembra non appartenergli, o forse è lui a non appartenerle, ad apparirle come un estraneo incapace di comprenderla a fondo, di sentirne il respiro e di nutrirsene. Un vicolo dopo l’altro, si domanda dove sia finita la città raccontata da Luigi Natoli, dove sia nascosta la magia di quelle storie e dei loro protagonisti; dentro quale cortile nascosto agli occhi dei soliti, distratti, frequentatori della notte si celi il cuore pulsante di quella Palermo.

Ovunque vede i segni di un’identità volutamente smarrita: il tentativo di omologarsi, di annullare le differenze, fa in modo che esse emergano ancora più grottesche in un balletto impietoso tra chi – ricco – vuol godere dell’ebbrezza di mostrarsi povero per una notte e chi – povero – fa di tutto per atteggiarsi a ricco.

L’uno accanto all’altro come maschere, marionette animate da una mano oscura al Teatro dei Pupi prive, però, di quell’orgoglio cavalleresco di così remota tradizione in uno spettacolo che, sera dopo sera, si ripete sempre uguale.

I lampioni solitari, i portali delle chiese, le edicole votive, i fregi dei palazzi vi assistono silenziosi, smarriti custodi dei segreti di una città magica.

Malinconicamente incrocia chi, a passo stanco, percorre vecchie salite nella rinnovata liturgia di un divertimento forzato e, mentre procede attraverso strade più spente che buie, torna a domandarsi dove sia finita la Palermo di chi brigava, dei misteri nascosti tra i vicoli della Zisa, dei delitti e degli orrori consumati a Porta D’Ossuna, della giustizia celebrata come in un rito pagano a Palazzo Steri descritta ne “La Vecchia dell’Aceto”.

Si chiede dove giace, abbandonato, il senso di quella umana giustizia – superiore a quella dei Tribunali – vissuto nell’esempio dei Beati Paoli; l’ onore da conquistare, difendere e vendicare dei personaggi raccontati in “Coriolano della Floresta”. Marchi impressi a fuoco nella coscienza che insegnava quale fosse il bene e quale il male e non concedeva esitazioni nel coltivare il primo e combattere il secondo.

Prende forma l’immagine di una città animata dai mutevoli equilibri delle sue componenti più vive: i “birri”, il popolo, i nobili, ciascuno con la propria identità da custodire gelosamente con ostentato orgoglio. Storie tutte profondamente umane che, attraversando via Toledo ed affollando il Cassaro, come una marea travolgevano uomini e cose e raggiungevano eremi remoti, campagne e colline, castelli e masserie, rinnovando la tradizione.

Difficile ritrovare tracce dell’orgoglio delle confraternite nelle stradine che, ancora oggi, ne portano il nome; delle loro battaglie sanguinose e delle rivolte per un futuro diverso e migliore; di quella contrapposizione, generazione dopo generazione, tra identità irriducibilmente diverse ma sempre vive in una storia oggi dimenticata.

Si chiede a chi spetti, adesso, il compito di narrare il mistero e la magia, gli amori, i tradimenti e la vendetta che si consumavano all’ombra di torri catalane o alla luce intima delle candele del vernacolo. Eppure, mentre i lampioni si spengono e l’alba torna prepotente a rivendicare il dominio su quelle strade, ecco affacciarsi anche una volta la promessa di nuovo giorno.

La brace sotto la cenere è ancora ardente: suoni e colori fanno risplendere Palermo di nuova luce e si rinnovano le tradizioni di una città che il tempo non riesce a cambiare. Le botteghe artigiane rimandano i suoni operosi di una tradizione che affonda le proprie radici nei secoli: plasmare la materia, rimodellarla nel solco di un passato che, invece, non si può cambiare. I colori dei mercati squarciano il manto uniforme di una notte sempre troppo uguale mentre voci e risate sovrastano il rumore indistinto di coloro che – con la complicità del buio – avevano reso ovattata un’atmosfera che adesso brulica di vita.

Il rosso della carne richiama il sangue di antiche storie di passione, di lotte per la vita; i primi raggi di sole si riflettono sulle scaglie dei pesci che è possibile immaginare dibattersi nella rete negli ultimi spasmi di eroismo. Mentre i colori intensi della frutta esposta sui banconi rendono l’omaggio quotidiano ad una natura benevola, cani e gatti – nuovamente padroni del territorio – si aggirano sornioni e, dopo aver ricevuto il consueto dono dai compiacenti bottegai, tornano placidi al sole a far da vedetta mentre il cuore di Palermo torna a pulsare.

Gli anziani, i custodi della memoria, si avventurano nuovamente al sicuro per le loro strade e tornano – per un altro giorno ancora – alla loro vita, incapaci di resistere al richiamo delle chiese che li attira con la promessa di confidar loro i segreti ed i misteri in cui hanno bisogno di credere per trovare confronto mentre assistono ad un cambiamento che non riescono ad accettare senza un carico di nostalgia del passato.

Adesso, si può riprendere il cammino con uno spirito diverso, rinnovato; è stato sufficiente aspettare che il buio svanisse e la vita tornasse a scorrere in un nuovo giorno carico di promesse.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI