Costa contro Travaglio| "Insinuazioni su Fiandaca" - Live Sicilia

Costa contro Travaglio| “Insinuazioni su Fiandaca”

Il figlio del procuratore della Repubblica di Palermo ucciso dalla mafia il 6 agosto 1980 attacca Marco Travaglio "una serie di contumelie e insinuazioni nei confronti del professor Giovanni Fiandaca durante l'ultima puntata di 'Servizio Pubblico'". La replica del giornalista: "Non so cosa abbia sentito".

la polemica
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PALERMO – “Vi sono persone che ritengono di essere depositarie della verità assoluta e che reagiscono a qualsivoglia diversa opinione con le contumelie. Marco Travaglio fa parte di questa categoria e certamente lo ha dimostrato con il suo intervento nell’ultima puntata di ‘Servizio pubblico’, lasciandosi andare a una serie di contumelie e insinuazioni nei confronti di una persona, il professor Giovanni Fiandaca, che motivatamente aveva dissentito da sue personali idee peraltro fondate su ricostruzioni palesemente errate”.

Lo dice l’avvocato Michele Costa, figlio di Gaetano, il procuratore della Repubblica di Palermo ucciso dalla mafia il 6 agosto 1980. “Sarebbe troppo lungo sottolineare i suoi errori – aggiunge – che fra l’altro Travaglio potrebbe facilmente rilevare da una più approfondita lettura del pregevole scritto di Fiandaca, ‘La mafia non ha vinto’, recentemente pubblicato. Ci potrebbe bastare che evitasse di ricorrere alle contumelie che certamente fanno audience ma altrettanto certamente offendono la sua e le nostra intelligenza”.

“Per quanto mi riguarda – conclude Costa – vorrei solo proporre qualche interrogativo: alla base della lunga stagione dei ‘pentiti’ non vi fu sostanzialmente una trattativa per la quale lo Stato rinunziava alla pretesa di punire i colpevoli, anche di mostruosi delitti, in cambio di una verità parziale e spesso non genuina? Cos’è quella cosa per cui si rinuncia a fare parlare un testimone perché non ritiene che lo stato sia ‘pronto’? Come possiamo non ricordare che tutti, proprio tutti i delitti politici sono rimasti senza colpevoli eccezion fatta per qualche esecutore materiale?”.

“Non sono quali contumelie abbia sentito uscire dalla mia bocca nei confronti di Fiandaca il signor Costa, ma soprattutto non so quale film abbia visto giovedì mentre andava in onda Servizio Pubblico”. E’ la replica di Marco Travaglio a Michele Costa, figlio di Gaetano, il procuratore della Repubblica di Palermo ucciso dalla mafia il 6 agosto 1980. “Costa è liberissimo di giustificare la trattativa Stato-mafia – dice il giornalista all’ANSA -, come fa Fiandaca nel suo libro, e di pensare che la mafia si combatta trattando con la mafia. Auguri a lui e al candidato Fiandaca per una radiosa carriera politica”.

“Noto che qualcuno mi attacca violentemente per il mio saggio sulla ‘trattativa’.Probabilmente prendendo per buone critiche aggressive e macchiettistiche da ‘travagliesco’ pensiero corto. Il grosso problema per una democrazia che voglia essere degna di questo nome consiste nel fatto che alcuni prendono sul serio chi, invece di analizzare e ragionare, usa la penna come un manganello per aggredire e diffamare quanti non la pensano come lui. E’ un’autentica bugia che io sia un ‘giustificazionista’ morale della trattativa”.

Lo dice il professor Giovanni Fiandaca, autore, con lo storico Salvatore Lupo, del volume “La mafia non ha vinto”. “Nel mio saggio, preciso senza equivoci che bisogna tenere distinti l’aspetto politico o morale – aggiunge – dall’aspetto giuridico. Anche se la ‘trattativa’ appare politicamente e moralmente criticabile, ciò non comporta, automaticamente, che essa dia immancabilmente luogo a qualche ipotesi di reato. Nel mio saggio ho esposto in maniera dettagliata le ragioni giuridiche che rendono difficilmente configurabile il reato di minaccia a un corpo politico, così come ipotizzato dai pm. Ma vi è di più: analizzare con rigore il lavoro dei giudici non significa affatto volerli delegittimare. Quest’analisi costituisce un normale compito dello studioso di diritto”.

“Gli stessi magistrati antimafia, anche se hanno il coraggio e il grande merito di reprimere la criminalità mafiosa, non per questo sono infallibili. Dovrei limitarmi a fare il pifferaio delle procure – osserva – e dei tribunali, battendo le mani anche quando l’etica del mio mestiere me lo impedisce? Norberto Bobbio sosteneva che l’intellettuale pubblicamente impegnato deve essere, più che un coltivatore di certezze, un seminatore di dubbi. E sono d’accordo anche con Umberto Eco quando aggiunge che questa vigilanza critica deve essere svolta innanzitutto “contro la propria parte”.

“Mi conforta – conclude – il fatto che non pochi magistrati di riconosciuto valore sparsi per l’Italia e non pochi intellettuali di prestigio abbiano pienamente condiviso le cose che scrivo nel mio saggio. Tutti filomafiosi?”.


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