L'apoteosi mafiosa dei “Carcagnusi”| I signori del mercato ittico di Catania - Live Sicilia

L’apoteosi mafiosa dei “Carcagnusi”| I signori del mercato ittico di Catania

Mafiosi con il fiuto per gli affari. Ecco chi sono i Mazzei, adesso guidati dal latitante Nuccio (nella foto), figlio dello storico boss Santo.

 

CATANIA -Li chiamano “Carcagnusi”, dal soprannome dell’uomo d’onore Santo Mazzei, detto “u Carcagnusu”, che insieme a Giuseppe Garozzo faceva parte dei Cursoti divenendone in poco tempo capo.

Tensione, estorsioni, potere. La fazione dei Cursoti, durante la guerra tra i Santapaola e i Cappello, si scontra con quella di Gimmi Miano, schierandosi apertamente con i Santapaola. E’ lì che “u Carcagnusu” risulta essere “particolarmente vicino”, scrivono i magistrati, a personaggi di vertice di Cosa Nostra palermitana che lo avevano fatto “uomo d’onore”.

Dagli atti del processo Orione emerge che i Carcagnusi erano uno dei gruppi malavitosi “autonomamente strutturati e dotati di ampi ed autonomi poteri organizzativi e gestionali, mere articolazioni territoriali tutte facenti riferimento alla più ampia e storicamente dotata organizzazione palermitana di Cosa Nostra”. “In particolare -recita ancora la sentenza Orione- per quanto riguarda i due clan catanesi Santapaola e Mazzei, nominalmente distinguibili dall’identità dei loro rispettivi capi storici, Benedetto Santapaola e Santo Mazzei, gli stretti rapporti di alleanza e di sinergia che si erano venuti a creare nel periodo in considerazione giustifichino il convincimento di una sostanziale riduzione ad unità, tanto più che tutti i collaboratori interrogati sul punto, parlano dell’esistenza dell’associazione facente capo a Santo Mazzei come di uno dei vari sottogruppi in cui si articola l’associazione mafiosa Santapaola”. Nello stesso processo veniva condannato Nuccio Mazzei, figlio di Santo, attualmente latitante, accusato di essere l’uomo di punta dell’organizzazione criminale con l’accusa di appartenere all’associazione mafiosa diretta dal padre Santo Mazzei, “affiliata all’organizzazione denonimata Cosa Nostra e segnatamente ai corleonesi di Vito Vitale”.

Nel 2006 è stata condannata anche Rosa Morace, moglie di Santo Mazzei, con l’accusa di associazione mafiosa. Dagli atti della magistratura sono emersi interessi nel commercio di prodotti ittici.

L’ultima operazione “Scarface” della Guardia di Finanza guidata dal comandante provinciale Roberto Manna, sotto il coordinamento del procuratore Giovanni Salvi ha provocato un vero e proprio terremoto contestando, per la prima volta in Italia, la bancarotta fraudolenta aggravata dal favoreggiamento della mafia. Gli uomini dei Mazzei avrebbero creato, grazie ad usura e truffe che avrebbero messo in ginocchio numerosi imprenditori, un vero e proprio impero economico.

Dall’operazione emerge un ruolo di primo piano del latitante Nuccio Mazzei. Addirittura lo “Scarface” catanese William Cerbo, critica il comportamento del fratello Francesco, che aveva impedito a Santo Mazzei di entrare nella nota discoteca Moon, gestita, secondo le ipotesi della magistratura, direttamente dai Mazzei. Lo scarface catanese ricorda al fratello l’appartenenza “alla famiglia di Nuccio…la tua famiglia sono loro”. E grazie ai Mazzei, era possibile occuparsi della discoteca e “uscire fuori con il petto gonfio”. Nuccio Mazzei sarebbe il nuovo capo. “Willy, dice il detenuto Romano Cristofaro intercettato- se hai qualche problema, parla con Nuccio…hai capito? Allora se tu devi parlare parla con Nuccio, parla con il tuo capo!!!”. Nuccio Mazzei sarebbe in grado di stabilire chi ha il permesso di “entrare” nel mercato del pesce. Un imprenditore gelese sarebbe stato sottoposto ad estorsione proprio per ottenere “lo sgabello”, cioè il posto al mercato ittico. I finanzieri, che si sono avvalsi delle investigazioni della tributaria guidata da Giancarlo Franzese, hanno documentato che i Mazzei erano pronti a bloccare tutti i camion dell’imprenditore ittico che non era disposto a pagare il pizzo di 50mila euro.

I picciotti di William erano pronti a tutto per ottenere rispetto, “aprire come un melone” un napoletano che aveva perso lo zio in un agguato camorristico e per questo era insolvente e “punire” un imprenditore di Avola colpevole di aver truffato un gruppo di “amici”.

I finanzieri li intercettano mentre si preparano a riscuotere un credito da un privato, “gli do botte a lui e a sua moglie…forza andiamoci…andiamo a casa di questo”, e mentre ottengono l’autorizzazione da Mazzei per andare a “rompere la testa” ad Antonino Millo, titolare di un ferramenta.

Cerbo confida ai fedelissimi di “perdere il conto delle entrate provenienti da discoteche e sale da gioco sparse nella città”. Il trucco, che i finanzieri hanno portato alla luce, era intestare le attività a fidatissimi prestanome, che non avevano alcunché da perdere, arruolati e stipendiati dall’organizzazione.

 

 


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