Ci voleva proprio Genny - Live Sicilia

Ci voleva proprio Genny

Ecco che quel signore corpulento appollaiato sulla ringhiera dell’Olimpico, ha offerto la palestra in cui allenare le doti tipicamente italiche di perbenismo e complottismo.

Ammettiamolo, l’Italia in questo momento aveva proprio bisogno di Genny ‘a Carogna: con quel soprannome ad avvalorarne l’aspetto truce e quella maglietta a fare da corredo alla sua storia personale e familiare di contiguità, Gennaro De Tommaso rappresenta tutto ciò da cui è più facile prendere le distanze. Sia chiaro, a scanso delle facili strumentalizzazioni: la violenza e l’intimidazione vanno condannate senza distinguo e senza tentennamenti.

Chi sbaglia deve pagare, ma in modo giusto: le pene esemplari invocate in queste occasioni non assicurano il senso di giustizia che esse devono, invece, salvaguardare. Non si può accettare di partire con una sciarpa al collo e ritrovarsi a lottare per la vita per un colpo di pistola in una deriva delinquenziale che – al di fuori dei vecchi codici d’onore non scritti del mondo ultras – quel gesto folle e sconsiderato impedisce di ricondurre allo stereotipo della violenza da stadio. E’ opportuno, quindi, se non addirittura doveroso, distinguere ciò che è accaduto fuori dallo stadio da quanto invece si è svolto al suo interno.

Ma gli opportuni distinguo talvolta risultano meno suggestivi e più indigesti, ed ecco che quel signore corpulento appollaiato sulla ringhiera dell’Olimpico, ha offerto la palestra in cui allenare le doti tipicamente italiche di perbenismo e complottismo. Non sorprenda, quindi, che le cronache abbiano subito evocato il termine suggestivo di “trattativa” a ciò che – pare – sia stato un dialogo tra le varie componenti interessate da quanto accaduto fuori dallo stadio dettato dalle eccezionali criticità del momento. Poiché come spesso accade, si pretendono dagli altri le medesime condotte che non si è in grado di assicurare in prima persona, non si è fatta attendere la consueta strumentalizzazione da parte dei soliti noti in processione davanti ai microfoni a lanciare autorevoli anatemi verso il mondo del calcio ed i suoi tifosi, i vertici delle forze dell’ordine, della politica e delle istituzioni abbeverandosi alla fonte dell’ipocrisia per emendare le proprie colpe ed acquistare un rinnovato candore sempre utile in campagna elettorale.

Ecco, quindi, il Tribuno che ha eletto a tratto distintivo di sé e dei suoi proseliti turpiloquio, sopraffazione, aggressività nonché libera ed impunita offesa, attaccare a suo modo, indistintamente, chiunque sia stato interessato dall’accaduto accusandolo di manifesta incapacità ed asservimento ai poteri più biechi ed oscuri. Tanti esponenti del mondo politico ed istituzionale, di contro, hanno ritenuto inaccettabile interloquire con un personaggio simile dimenticando, evidentemente, di aver rimpolpato le liste elettorali di illustri candidati che potevano vantare analoghi precedenti penali a rappresentare un Paese in cui evidentemente è più accettabile l’idea di apparentarsi con chi delinque in abito scuro.

Non è mancata, nel coro dei tanti autorevoli censori, la grottesca indignazione del Ministro degli Interni verso chi indossava quella maglietta così irrispettosa, evidentemente dimentico di essere stato il Delfino di altro, ma ben più illustre, pregiudicato di cui ha, più volte, invocato l’innocenza in plateali manifestazioni e nel più assoluto dispregio della carica istituzionale rivestita. Ed ancora, ad un solo giorno di distanza dall’indignazione per quanto accaduto a Roma – in occasione della commemorazione dei morti di Superga – il primo cittadino di Torino ha esibito il dito medio ai tifosi granata rei, nell’occasione, di contestarne la fede bianconera.

Ma essendo l’Italia un Paese in cui il senso del ridicolo spesso offre palcoscenici insospettabili sui quali esibirsi, ecco anche il SAP reagire con indignazione al dialogo con chi indossa una maglietta che invoca la libertà di un omicida, evidentemente indifferente agli applausi tributati pochi giorni prima dalla sua assemblea ad altri assassini, manifestando analogo disprezzo verso l’autorità di una sentenza ed insopportabile dileggio nei confronti del dolore di una madre privata dell’affetto di un figlio.

Eppure dinanzi a questo imbarazzante “tutti contro tutti” che continua a strumentalizzare il dramma di un ragazzo in lotta per la vita, nessuno che abbia evidenziato come tutto il mondo “ultras” si sia stretto attorno alla famiglia Esposito mettendo da parte storiche ed irriducibili rivalità ed offrendo tutto il sostegno morale e materiale di cui la famiglia al momento ha bisogno. Pertanto, pur essendo lecito e doveroso prendere le distanze da tutto ciò che Genny ‘a Carogna rappresenta in negativo, lo è altrettanto riflettere su quanto accaduto dentro lo stadio liberi da pregiudizi di matrice ideologica e culturale ed alla luce della accurata ricostruzione dell’accaduto che lentamente sta emergendo in contrasto con il tanto suggestivo, quanto abusato, teorema che ha preteso di ricondurre il tutto ad una fantomatica trattativa tra uno Stato pavido ed incapace ed un manipolo di delinquenti in grado di tenere in scacco le Istituzioni con allarmante facilità.

Per l’opinione pubblica è risultato inaccettabile quel dialogo, identificato come rinuncia alle prerogative di uno Stato di diritto che cede al ricatto in una trattativa che implica una rinuncia alla propria indipendenza ed autonomia, piuttosto che una scelta opportuna ispirata al buon senso e priva di cedimenti alle ragioni della legalità. Attraverso una costante riproposizione di “guardie e ladri”, pare che ogni forma di confronto con chi è diverso, la pensa diversamente oppure esprime un mondo lontano dal proprio implichi inevitabilmente il rischio di apparentamenti da evitare ad ogni costo per potersi platealmente accreditare. Eppure, in quel momento di straordinaria criticità, a fronte delle smentite piovute da ogni parte e della evidenza delle immagini che non hanno mostrato alcuna minaccia o intimidazione a caratterizzare quel confronto, è sembrato coerente con il suggestivo teorema della “trattativa” negare l’opportunità di un dialogo che interessasse tutte le componenti di questo gioco: atleti, società, vertici istituzionali, forze dell’ordine e, soprattutto, tifosi.

E’ apparsa, quindi, inaccettabile l’idea di posticipare l’inizio di una partita dopo aver informato anche i tifosi sulle condizioni di uno di essi, chiarendo la dinamica e le responsabilità del gesto a salvaguardia di ulteriori ed assai probabili rappresaglie dettate dall’emozione del momento da parte di frange incontrollate, ed incontrollabili, di tifosi. E’ stata manifestata indifferenza, se non vera e propria insofferenza, alla riflessione sull’opportunità di rinviare o posticipare l’inizio di una partita mentre un tifoso lottava per la vita dopo essere stato colpito a morte a pochi passi dallo stadio in presenza di notizie frammentarie, e talora anche false e tendenziose, che minuto dopo minuto si rincorrevano rendendo ancor più allarmante la situazione per l’ordine pubblico. Invero, sfugge al buon senso e cozza con la ricostruzione dei fatti il contenuto della tanto suggestiva trattativa: cosa avrebbe ottenuto il sig. De Tommaso se non l’assicurazione circa le condizioni del tifoso ferito, una sommaria ricostruzione della vicenda ed un servizio navetta per raggiungere l’ospedale al fine di placare le reazione isteriche e scomposte che avevano cominciato a cogliere le frange più calde della tifoseria napoletana?

Piaccia o meno, quel dialogo ha interrotto i primi sporadici lanci di oggetti e di petardi a riprova che il senso di responsabilità dimostrato da tutte le parti coinvolte ha stemperato le tensioni che, in quelle circostanze, avrebbero potuto innescare reazioni difficilmente controllabili da parte di migliaia di persone in preda alla suggestione per un agguato che, mai prima d’oggi in Italia, aveva visto l’utilizzo di armi da fuoco. In una tale situazione la scelta del dialogo, lungi dall’apparire una genuflessione alle ragioni dei violenti, è stata una scelta che merita, se non di essere acriticamente condivisa, almeno di essere riconsiderata con la mente priva da condizionamenti ideologici e da pregiudizi oltranzisti fondati su indimostrate e vacillanti certezze e da altrettanto monolitiche convinzioni circa le soluzioni più efficaci per gestire una situazione in cui l’obiettivo prioritario era quello di salvaguardare la pubblica incolumità.


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