Mafia, pioggia di condanne | Ergastolo a chi rapì Di Matteo - Live Sicilia

Mafia, pioggia di condanne | Ergastolo a chi rapì Di Matteo

Il piccolo Giuseppe Di Matteo

La Corte d'assise di Palermo ribalta la sentenza di primo grado. Carcere a vita per Angelo Longo, considerato il nuovo capomafia di Cammarata. Avrebbe tenuto prigioniero il bambino. Condanne pesanti per gli altri imputati della mafia agrigentina. Guarda il video con il verbale-choc del pentito Chiodo: "Così ho ucciso il piccolo Giuseppe"

 

PALERMO - SENTENZA D'APPELLO
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PALERMO – C’è un nuovo ergastolo per il barbaro assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo. La Corte d’assise di Palermo ribalta la sentenza di primo grado. Carcere a vita per Angelo Longo, considerato il nuovo capomafia di Cammarata. Secondo l’accusa, sarebbe stato anche uno dei carcerieri del figlio del collaboratore di giustizia Santino. Il bambino fu strangolato e il corpo sciolto nell’acido per tappare la bocca al padre. In abbreviato gli erano stati inflitti tredici anni per mafia, ma era arrivata l’assoluzione per la tragica morte del bambino.

Alla sbarra c’era la mafia della provincia di Agrigento. Per il resto è stata confermata la condanna a dieci anni inflitta a Francesco Baiamonte, di Casteltermini, e a due anni per Giuseppe Salvatore Vaccaro, (il collaboratore di giustizia di Sant’Angelo Muxaro). Leggeri sconti di pena per gli altri imputati: Salvatore Vitale Collura di Castronovo di Sicilia, Mariano Gentile di San Giovanni Gemini, Emanuele Scavetto di Casteltermini, Giuseppe Scozzaro di Casteltermini (hanno avuto tutti 8 anni), Vincenzo Di Piazza, indicato come il capomafia di Casteltermini (12 anni), Giuseppe Di Piazza, anche lui Casteltermini (7 anni).

C’è un assolto, l’unico, Salvatore Costanza, di San Giovanni Gemini (era stato condannato a dieci anni). Era difeso dagli avvocati Roberto Tricoli, Massimilano Miceli e Sistiano Ignoto. L’imputato, un imprenditore del settore edile con grossi appalti in giro per l’Italia, è stato subito scarcerato. Si trovava in cella da tre anni.

Quella di Longo era la posizione più delicata del dibattimento. Due anni fa gli cadde addosso l’infamante accusa di avere fatto parte del gruppo di boss che tenne prigioniero il piccolo Giuseppe. Quella del bimbo fu una lunga via Crucis, da un capo all’altro delle province di Palermo, Agrigento e Trapani, prima che Giovanni Brusca lo giustiziasse. Fu il cugino Salvatore Longo a inguaiarlo, sfogandosi davanti ai carabinieri che erano andati ad arrestarlo quattro anni fa. Parlava di un “mister Bean, che fa le cose e non se ne accorge nessuno”. E alla fine lo sfogo divenne centrale nell’accusa contro Longo. Un’accusa contestata dai difensori dell’imputato. Che in pirmo grado ebbero ragione. Non oggi.

Nell’ottobre del 2012 l’assoluzione dall’omicidio, oggi ribaltata. Arriva con il carcere a vita quella giustizia che il padre del bimbo, la moglie e i fratelli della vittima hanno sempre invocato, costituendosi parte civile con l’assistenza dell’avvocato Monica Genovese.


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