Una passerella indimenticabile| Fra suoni e colori rosanero - Live Sicilia

Una passerella indimenticabile| Fra suoni e colori rosanero

Resterà per sempre nella mia memoria una notte così bella e suggestiva, con lo stadio vestito a festa per l’occasione. Bandiere al vento, canti, cori e inni, senza un attimo di tregua.

il processo al palermo
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Finisce in un tripudio di suoni e colori, mentre Beppe Iachini corre verso la curva Nord, tutta in piedi ad acclamarlo e a cantare in coro: “Salta con noi… Beppe Iachini….”. E lui … obbedisce, corre e salta ad un tempo, mentre leva più in alto che può il magnifico trofeo – “Le Ali della Vittoria” – conquistato dal Palermo, ovvero dalla Regina incontrastata del campionato di serie B.

Resterà per sempre nella mia memoria una notte così bella e suggestiva, con lo stadio vestito a festa per l’occasione, ventimila tifosi (bambini delle Scuole Calcio compresi, almeno duemila) impazziti di gioia sugli spalti, bandiere al vento e festoni e striscioni e vessilli e luminarie e fumogeni (anche troppi e ammorbanti) e, soprattutto, canti e cori e inni, senza un attimo di tregua. Le due curve a far spettacolo da sole, specialmente la Nord, sotto e sopra, ciascuno a suo modo, uniti finalmente da un solo anelito, un’unica passione. Il Palermo, che torna in serie A, restituisce e riscatta un lungo, interminabile anno di amarezze, delusioni e, diciamolo pure, gratuite cattiverie, sportivamente parlando, e non solo. Come ha opportunamente detto il presidente di Lega B, Abodi, mentre consegnava nelle mani di capitano Barreto il trofeo “Le Ali della Vittoria”: “E’ stato un grande onore accogliervi tra noi per dieci mesi e adesso siamo felici di vedervi tornare in quella che è la vostra casa: la serie A!”.

E’ stata una serata speciale e indimenticabile anche per il bravo, appassionato e instancabile Massimo Minutella, che non ha mollato il microfono per un solo istante – tranne che durante i novanta minuti della partita – lui che è approdato al calcio da poco, quel poco che gli ci è voluto per diventare uno di noi, tifoso come noi, rosanero non solo a parole ma anche nel cuore e nei pensieri. Bravo, Massimo, pur con qualche ingenuità dialettica o semantica, che dir si voglia, tipo aver proclamato come “camminata” la trionfale e inarrestabile cavalcata del Palermo verso la serie A. Ha diretto le operazioni dal primo all’ultimo istante con tale fervore ed entusiasmo da trascinare tutto lo stadio, da una curva all’altra, passando per la gradinata, mai vista così popolata, così partecipe e coinvolta.

Un colpo d’occhio mozzafiato mi intenerisce il cuore, appena sbuco dall’ultimo gradino di accesso alla tribuna: lo stadio è interamente colorato di rosanero e le bandiere che garriscono al mite venticello di questa pur tardiva primavera (la prima bella giornata di un campionato che ci ha riservato solo vento, freddo e pioggia per ogni partita del Palermo al “Barbera”) e io ho subito la sensazione di esser tornato bambino, che è quella stessa sensazione che mi tiene avvinto a questa indomita passione che è il Palermo e la sua storia. La curva canta e non si ferma mai e nei suoi canti si avverte qualcosa di speciale e di diverso: l’amore per la squadra c’è sempre stato, non è mai finito neanche nei cupi momenti della passata stagione, ma stavolta c’è qualcosa di più, di tenero, di dolce, come una ninna nana che la mamma canta al suo bambino, appena uscito fuori da una brutta malattia. Ecco, proprio così: la curva canta con un empito tutto nuovo un amore ritrovato, dopo aver temuto a lungo d’averlo perduto per sempre.

E non tacciatemi di vieto sentimentalismo o, peggio, di insulso, mieloso romanticismo, se vi confesso che, appena entrato allo stadio, davanti a quello spettacolo meraviglioso spettacolo di suoni e colori, altro che intenerirmi, mi sono commosso, mi è saltato un groppo in gola e, per non farmi vedere così dai miei giovani colleghi di postazione, ho tentato di ricacciarlo giù. Ma non devo esserci riuscito se, appena preso posto, Vincenzo – che mi è il più dappresso fra Luca, Simone, Leandro e Mariano – mi ha sussurrato in un orecchio: “Benvenuto, ti capisco… Certe cose non si possono nascondere, sono sentimenti che ti fanno onore…”.

E come sempre accade quando, nella commozione, qualcuno ti dice una bella parola, mi son lasciato andare. Senza più fermarmi se non quando è cominciata la partita, perché lì subentra il tifoso in azione, che, impegnato com’è a tifare per la propria squadra palla dopo palla, non può permettersi debolezze e fragilità emotive di nessun tipo. Già, la partita: una formalità, il cui esito era già scritto prima ancora di scendere in campo. Il Palermo l’ha giocata da sola questa partita, avendo di fronte un avversario imbelle, impegnato solo a rompere, respingere, disturbare non solo con la foga ma spesso anche con i falli, tutte le manovre d’attacco del Palermo. Che ci provava con buone geometrie, magari senza la furia agonistica che serve sempre nel calcio per vincere le partite, ma faceva la sua parte e andava più volte vicino al gol. Al 14’ con Maresca (ottima la sua prova) che concludeva con un tiro a fil di traversa una bella combinazione Pisano-Drapelà-Barreto; al 25’ sempre con Maresca, imbeccato a sorpresa per uno schema preparato in allenamento dopo una punizione di Drapelà (bel destro al volo che fa la barba al palo); al 31’, l’azione più pericolosa del Palermo con Belotti che si libera di forza dell’avversario e suggerisce lungo l’out il cross a Drapelà, sul quale si avventa di testa Bolzoni: sembra gol ed invece la palla sfila ad un pelo dal palo di Gomis; al 34’, Barreto sferra un destro dai venticinque metri che impegna seriamente Gomis nella deviazione in angolo ed infine al 44’, una veloce combinazione Barreto-Dybala offre il destro ancora a Bolzoni di metter dentro la palla dell’1-0, ma è solo un’illusione, anche stavolta è soltanto – come amava dire Carosio nelle sue leggendarie radiocronache – “quasi gol”. La ripresa, poi, è stata davvero una formalità, con le due squadre a … farsi i complimenti e a tirare a campare in attesa del triplice fischio. In attesa, cioè, che la vera festa cominci, perché non ne possiamo più di aspettare, perché non ce la fanno più soprattutto i tifosi che da due ore cantano e vogliono invece far di più: vogliono urlare la loro felicità e mostrarla come merita. E lo fanno con un lunghissimo striscione, posto alla base dell’intera curva Nord, dove sta scritto: “Noi promozione voi retrocessione, solo un genio poteva scrivere questo copione”.

Nel momento della vittoria, consacrata e celebrata, non può esserci pietà per il “nemico”: Anzi, la si celebra come meglio non sarebbe possibile proprio sbattendogliela in faccia. E i tifosi rosanero, che non hanno dimenticato i ventimila cartoncini con impressa la “B”, mostrati dai tifosi etnei in occasione del derby, con questo messaggio rendono pan per focaccia e lo fanno, a mio avviso, con la giusta ironia e senza il livore che invece quelle “B” dimostravano, al di là del buon gusto, se non della decenza, sportiva e non.

Finisce con i giocatori chiamati ad uno ad uno, e per ciascuno Minutella ha coniato un aggettivo , un frase ad hoc, tipo “Il cappellino più famoso d’Italia”, per Iachini , oppure “Gli occhi della tigre” per Sorrentino o, addirittura “Il ministro della difesa”, per Terzi. Mi dà un’ulteriore strizza al cuore Milanovic, che entra in campo avvolto nella sua bandiera serba; così come mi diverte la capriola con la quale Troianello ringrazia la folla per il suo lungo caloroso applauso. Ed è tutto, o quasi, ma certamente, almeno per me, non lo sarebbe se non mi chiedessi perché, in una serata di festa, nella quale sono stati chiamati a sfilare in campo tutti, allenatore, giocatori (titolari e riserve, perfino Lazaar, tornato di filato dal ritiro della Nazionale marocchina) ed anche i magazzinieri, non ci sia stato posto solo per Perinetti. Un saluto ed un grazie, visto che sta passando ad altri lidi, gli sarebbero spettati, o mi sbaglio?


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