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La Sicilia, un paese per vecchi

I giovani abbandonano l'Isola, specialmente quelli con un titolo di studio medio-alto. I siciliani sono simili ai dinosauri: una specie in estinzione.

Per continuare a parafrasare titoli celebri, è proprio la grande fuga. O la lettera a un bambino mai nato. Due anni fa, il Censimento Istat rivelava che in Sicilia, dal 2001 al 2011, la percentuale di popolazione “over 65” era salita dal 16,9% (839.992 persone) al 18,9% (943.201 persone), e individuava quali province più “anziane” Trapani, dove la quota degli ultrasessantacinquenni raggiungeva il 20,7%, ed Enna (20,2%), mentre Catania era quella più “giovane” (17,4%). Un boom di ultracentenari, raddoppiati nel corso di un decennio. Il numero degli ultra 85enni risultava cresciuto dall’1,8% del 2001 al 2,4% del 2011. Riguardo poi alla classe di cittadini dai 95 ai 99 anni, l’aumento rilevato era dell’87,8%, e per quella degli ultracentenari l’incremento raggiungeva il 104,4%. Le persone di 100 anni e più, difatti, erano 412 nel 2001 (110 maschi e 302 femmine) mentre nel 2011 ne venivano censite 842, con una percentuale di donne pari al 77,6% (653 unità).

Messina la provincia con il maggior numero di ultracentenari (23,4% del totale), seguita da Palermo (23,0%) e Catania (15,3%); Ragusa quella in cui si riscontrava il valore più basso (3,0%) e, ad ogni buon conto, nel corso degli ultimi 10 anni il numero di ultracentenari risultava quasi triplicato nelle province di Caltanissetta (+207,7%), Messina (+185,5%) e Agrigento (+171,9%). Fino al 9 ottobre 2011, data di riferimento del censimento, la popolazione residente in Sicilia ammontava a 5.002.904 unità. Rispetto al 2001, quando si erano contati 4.968.991 residenti, l’incremento appariva dello 0,7%, ma il dato era da attribuire esclusivamente alla componente straniera, più che raddoppiata (+153,1%, pari a 75.616 unità). Nel decennio monitorato, la popolazione di cittadinanza italiana in Sicilia era diminuita, invece, di 41.703 unità (-0,8%) in quasi tutte le province, ad eccezione di Catania (+1,2%) e Ragusa (+0,4%), col maggiore decremento a Messina (-4,2%) e Enna (-3,2%). Il crollo della natalità, il cui tasso, nella nostra Isola, è più basso di quello della mortalità, è un dato incontrovertibile.

Secondo le previsioni, il Mezzogiorno vedrà la sua popolazione diminuire, nei prossimi 50 anni, da quasi 21 milioni del 2012 a 16 milioni e 711mila, e si ridurrà complessivamente dall’attuale 34% del totale nazionale al 27,3% nel 2065. In Sicilia il calo demografico sarà pari a circa un milione di unità, e si concentrerà per intero nella fascia di popolazione che ha meno di 44 anni. La più grande ricchezza della nobilis insula Trinacria, dunque, il suo “capitale umano” sembra destinata a un progressivo impoverimento, e, inoltre, a essere esportata senza un ritorno. Se pur ci inorgoglisce immaginarci come tartarughe giganti o meglio, come vongole oceaniche, data la vicinanza al mare e la quantità di zone costiere, è bene essere consapevoli che rischiamo piuttosto di diventare dinosauri, e di passare da animali longevi a specie estinta. La popolazione siciliana, difatti, sta diminuendo anche per effetto dell’emigrazione. Il processo di desertificazione della Sicilia sembra riguardare, oltre al suo paesaggio naturale, anche quello culturale. In base ai dati Svimez, il 64% dei cittadini meridionali che nel 2011 ha lasciato il Mezzogiorno per il centro-nord ha un titolo di studio medio-alto.

Con particolare riguardo all’Isola, l’esodo di diplomati e laureati è stato, negli anni tra il 2000 e il 2012, di oltre 119mila persone, cui se ne aggiungono altre 23mila partite per l’estero. E’ in atto un processo di “degiovanimento”: vi è un crescente peso dei vecchi nelle famiglie meridionali, per cui il sud è destinato a diventare una delle aree con il peggior rapporto tra anziani inattivi e popolazione occupata, destinato a diventare di uno su tre abitanti nel giro di 50 anni: sorgono molti dubbi sulla sostenibilità economica e sociale del sistema di welfare nei prossimi decenni.

Questi dati non giungono del tutto nuovi. Un’inchiesta apparsa sul settimanale “Panorama” di qualche anno fa già tracciava il quadro della “fuga”. Due milioni di persone in 15 anni hanno lasciato il Meridione per trasferirsi al Nord. Ma con dinamiche migratorie mutate: a partire sono stati i laureati. Le speranze frustrate dei ragazzi che hanno studiato e fatto le valigie, destinazione nord, Europa o Italia che fosse, rappresentano, al di là dei numeri, l’impossibilità di una rinascita economica per il sud. I talenti migliori emigrano a senso unico, e raramente si verifica il rientro dei cervelli. Sebbene più contenuta rispetto agli anni dei grandi trasferimenti di massa, l’emigrazione ha oggi soggetti diversi, ed è alimentata, come si diceva, dalla componente giovanile più scolarizzata, con una prevalente mobilità legata al settore pubblico e al terziario avanzato. Le aree più interessate sono il nord-est e le grandi aree urbane come Milano, Bologna, Roma, mentre un tempo l’emigrazione era verso il nord-ovest italiano e il cosiddetto “triangolo industriale”. E un’altra considerazione si impone: le rimesse di denaro che i migranti siciliani facevano a casa, ovviamente non esistono più; anzi, si verifica talora che, al contrario, siano le famiglie che, dalla Sicilia, mandano un sostegno economico ai figli specie per le spese di alloggio.

Un dato curioso: nemmeno gli immigrati clandestini, che lasciano alle spalle desolazione e, spesso, l’inferno sulla terra, vogliono rimanere in Sicilia. La considerano piuttosto una terra di transito. Il loro obiettivo dichiarato è il nord Europa. Per questo evitano di farsi identificare, ricorrendo a stratagemmi come quello di ricoprirsi i polpastrelli con vernice per impedire alla polizia scientifica di prendere le loro impronte digitali, e tentano la fuga dai centri di accoglienza. Vorremmo chiudere con una boutade, dagli incerti esiti comici: la Sicilia non è accogliente persino per i non nati. Un’ulteriore fuga si registra, difatti, anche con riguardo alla fecondazione assistita. I numeri della “fuga del vitro” sono in continuo aumento, e 10 milioni di euro all’anno vengono dirottati dalla Regione Siciliana al nord Italia. La fecondazione assistita oggi è diventata un vero e proprio affare a sei zeri per chi riesce ad accaparrarsi le quasi dodicimila coppie che nel 2013 si sono sottoposte ad un trattamento di PMA (procreazione medicalmente assistita) fuori dalla regione di provenienza.

E la Sicilia è al primo posto nella classifica degli “esuli del vitro”: su cinquemila coppie che decidono di sottoporsi a un trattamento di fecondazione assistita, più di duemila preferiscono prendere un aereo ed entrare in strutture sanitarie del nord Italia. Scelta quasi obbligata, se si pensa che in Sicilia fino al 2012 non era previsto alcun sostegno pubblico a chi avesse bisogno di un trattamento di PMA, e sono pochi i centri pubblici siciliani in cui è possibile sottoporsi alla terapia. Inoltre i pazienti isolani scelgono di migrare in quanto consapevoli che i costi sostenuti dalle ASL delle altre regioni saranno poi rimborsati dal bilancio siciliano. I numeri della “fuga del vitro” sono in continuo aumento: nel 2008 erano il 23 per cento, nel 2011 il 25 per cento, fino ad arrivare oggi ad un cifra vicina ai trenta punti percentuali.

Un vero e proprio corto circuito incentiva le coppie con problemi di fecondazione a fare le valige e andare a curarsi altrove: poca scelta e, in più, se rimanessero nell’Isola, dovrebbero pagare di tasca propria, mentre partendo usufruiscono del rimborso regionale. Si tratta di una perdita rilevante per l’economia siciliana. Ma oltre al danno, c’è la beffa: la Regione rimborsa le aziende sanitarie del nord, e, nel contempo, in Sicilia gli specialisti della fecondazione in vitro rimangono senza pazienti. E mentre continua l’esodo degli “esuli della provetta”, i medici più qualificati si chiedono se non sia il caso di cominciare a progettare il loro.


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