Quel che resta del Crocettismo - Live Sicilia

Quel che resta del Crocettismo

Nel fuoco della rivoluzione sarebbero stati bruciati i manuali Cencelli, i modelli di nomina del sottogoverno basati su fedeltà e non su competenze, tutto ciò che aveva inquinato il passato... Bellissimo!

Nell’autunno del 2012, l’elezione di Rosario Crocetta a presidente della Regione, sia pure con una quota di consenso limitata per via delle astensioni e del boom del Movimento 5 Stelle, apparve come l’apertura di un processo che avrebbe condotto a “magnifiche sorti e progressive” per la Sicilia. Sotto più punti di vista. Intanto, per la prima volta, anche grazie ad una serie favorevole di coincidenze “astrali” (la frantumazione del centro-destra), in Sicilia conoscevamo la sinistra al potere, con un personaggio politico fino a quel momento stimato anche in base alla sua esperienza amministrativa di rilievo.

Poi, per l’inversione immediata delle analisi mediatiche sullo stato della Regione che accantonavano i sarcasmi su Lombardo ed esaltavano il successore visto proprio come l’anti-Lombardo per eccellenza, magari ignorando passati collegamenti. Infine, per il fascino delle parole d’ordine lanciate, con una sapiente campagna di comunicazione, da Crocetta: anti-mafia, rivoluzione, guerra alla “manciugghia”, apertura alla collaborazione di tutti i partiti, nessuno escluso. Quattro comandamenti che coglievano bene le pulsioni del siciliano medio, convinto dell’esistenza di un sistema mafioso, conservatore, corrotto (e a lui estraneo, per definizione), che occorreva destrutturare e radere al suolo operando oltre le contrapposizioni ideologiche. Nel proposito di “rivoluzione” era insita una voglia di cambiamento totale relativa allo stile politico, alla pratica di governo, al riconoscimento del merito, all’introduzione di efficienza burocratica.

Nel fuoco della rivoluzione sarebbero stati bruciati i manuali Cencelli, i modelli di nomina del sottogoverno basati su fedeltà e non su competenze, tutto ciò che aveva inquinato il passato. E questo, insistiamo, nel quadro di una lotta alla mafia ed alla corruzione. Bellissimo! Il popolo siciliano si accese di entusiasmo e così come oggi avviene per Renzi, furono in moltissimi, con diverse motivazioni, a salire sul carro del vincitore. Che prometteva posti di lavoro, stabilizzazioni universali, moralizzazioni assolute (con l’uso, ove occorresse, della ghigliottina diffamante), risorse finanziarie a chiunque, per qualsiasi titolo, le invocasse. Magari prima clamorosamente negate (vedi Cerisdi) e poi per bontà del Sovrano, accordate.

L’economia di Pinocchio che seppellisce le sue monete nel Campo dei Miracoli, certo che crescerà un albero coi rami carichi di zecchini d’oro, svelò i suoi limiti prestissimo. Lasciamo agli storici di ricostruire quanto è avvenuto in questi due anni. E proviamo piuttosto a descrivere quanto resiste ancora del modello Crocetta. Partiamo dalla caratterizzazione anti-mafia che spesso si è tradotta in caricatura. La ricostruisce bene Davide Faraone, oggi protagonista assoluto della politica siciliana, definendo Crocetta come un “professionista dell’anti-mafia 2.0” (il web dinamico che sostituisce lo statico web 1.0, di passata memoria). E che puntualizza come “i 2.0 usano l’anti-mafia non soltanto per popolarità e lotta politica, ma per costruire blocchi di potere politico-economici alternativi a quelli esistenti. I 2.0 utilizzano i media in maniera maniacale. Dedicano tanto tempo ad esibizioni ma non trovano il tempo per occuparsi dei problemi reali. I 2.0 non accettano alcuna critica politica o amministrativa, se la pensi diversamente da loro sei mafioso e attenti alla loro vita”.

A tutto questo il Crocetta-pensiero aggiunge retorica, iperbole, paranoia. “Se dovessi morire per mano della mafia”, recita un suo comunicato, “lo farò stando in trincea, sulle barricate, fino all’ultimo respiro”. E mi si troverà, parafrasando una sua affermazione ricondotta a Don Chisciotte, nudo e puro come un angelo. Su quel che resta della “rivoluzione”, vale la pena, in aggiunta, citare Gianfranco Marrone, uno dei pochissimi autentici intellettuali della Sicilia. Il Mo-Tello Crocetta, scrive, si può riassumere da un lato, nell’evocazione di quanto il mondo era cattivo prima del suo arrivo e, dall’altro, nella perorazione per un bellissimo mondo di cui si prospettano gli scenari futuri. Nel presente, malconcio e angosciante, non c’è nulla. L’impegno di Crocetta nei confronti della corruzione è stato visibile ed innegabile, con qualche avvertenza d’obbligo.

La pubblicità delle denunzie che fa clamore – rispetto a metodi precedenti di silenzio – sulla presentazione delle denunzie stesse, metodi consigliati, se non imposti, dai magistrati. In secondo luogo, una strana correlazione che lascia balenare opportunismo. Non appena si ha difficoltà a fornire risposte significative su sviluppo, crescita economica, risanamento del bilancio, si annunzia la scoperta di una ruberia. Ora è il turno degli stipendi percepiti dagli alti burocrati della Regione, tema sul quale inevitabilmente si sposta l’attenzione. Pura coincidenza? L’auspicata unità di intenti, in nome della Sicilia, tra i partiti, è sfociata in indegna ed oscena contrattazione fuori dal Parlamento che ha annacquato l’opposizione (ne fanno testo le tanto contrastate nomine nel settore della Sanità).

Ci sarà tempo per ricerche più accurate sul Crocettismo anche confrontandolo con altre “ filosofie” passate come il Cuffarismo ed il Lombardismo. Oggi si possono affermare con convinzione tre tesi. Il governo Renzi ha completamente spiazzato il Crocettismo sia dal punto di vista della sua (ambigua) collocazione politica sia dei valori cui si ispirano i suoi processi decisionali. Il Crocettismo è stato cannibalizzato dal renzismo, assai più attraente. C’è un’aria di ripresa in Italia che alita appena in Sicilia tenendo conto che qualche novità positiva (il rilancio della cantieristica palermitana) nasce più da logiche aziendali che dal ruolo del governo siciliano, impotente ed incapace (giusto per intenderci) nel caso di Termini Imerese. Il bilancio non è più una variabile dipendente nel senso che può redigersi secondo priorità di interessi e bisogni. Ma piuttosto una variabile indipendente a cui devono necessariamente sottostare interessi e bisogni con gerarchie che risentano ovviamente di pressioni lobbistiche, clientelari, derivanti da ricatti in sede elettorale.

Nella sanità, il più importante comparto di spesa, si naviga a vista e non esiste alcun abbozzo di scelte in campi fondamentali come quello dei rifiuti, dei beni culturali, dell’assetto territoriale. Men che mai una paginetta che descriva su quale modello di sviluppo la Sicilia ha deciso di puntare, utilizzando i fondi europei del nuovo ciclo, e scegliendo tra un territorio tutto “gas e petrolio” ovvero una regione che finalizza i suoi interventi all’attrazione turistica, incompatibile, si intuisce, con la prima delle alternative. Cosa resta del Crocettismo? Svegliarsi dopo un sogno immaginifico, con la bocca amara, e ricordarsi di una fame atavica di buon governo, normalità, futuro.


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