Cerchio magico, rimpasto | Le parole della politica - Live Sicilia

Cerchio magico, rimpasto | Le parole della politica

Non c’è alcuno, magari con esperienza trentennale di protagonista della politica siciliana, che non invochi discontinuità spesso interpretandola come alibi per passare da un partito ad un simil-partito e poi di nuovo ad un altro partito.

La moltitudine di luoghi comuni linguistici adoperati dai politici, che sembrano incapaci di escogitare nuove espressioni, ha generato un intero universo di parole abusate. Forse, come ebbe a dire Beppe Severgnini, andrebbe loro limitato l’uso di metafore e altre figure retoriche consentendone solo una modica quantità quotidiana.

Nella nostra carrellata di allegorie varie, partiamo da quello che al momento appare essere l’imperativo categorico, ai vertici del potere come nella parrocchia di campagna. Ogni politico che si rispetti, dal Presidente della Regione all’assessore del piccolo comune, ha intorno a sé un cerchio magico. Simbolo di pienezza e di continuità, nel contempo stato di coscienza in esso proiettato, secondo Jung, a rappresentare l’affermazione del proprio sé, la metafora del cerchio protettivo, di antiche e ben più nobili origini, fa ormai parte di uno dei tratti più deludenti e mediocri del linguaggio contemporaneo prevalente, ricco di frasi fatte. Lontani ormai dai raffinati rituali astronomici assiro-babilonesi, oggi far parte del cerchio magico del politico di turno significa celebrazione di un potere che si esercita in termini di influenza, di intervento, di veto. Tutto questo ormai nel senso di un’orgogliosa discontinuità col passato e nel contesto di un processo di rottamazione dei soggetti che lo hanno vissuto e caratterizzato.

Non c’è alcuno, magari con esperienza trentennale di protagonista della politica siciliana, che non invochi discontinuità spesso interpretandola come alibi per passare da un partito ad un simil-partito e poi di nuovo ad un altro partito, questa volta inserito nella nomenclatura ufficiale. Inutile dire che la “rottamazione” è parola giovane adottata però anche dai meno giovani. Ha una caratteristica: non si applica mai alla propria persona ma vien sempre rivolta ad altri. Alzi la mano qualcuno che abbia sentito un politico dire: “ho deciso autonomamente di rottamarmi”.

Quanto detto avviene nel contesto di una “rivoluzione”, ormai proclamata a piè sospinto con l’avvertenza funerea che non si tratta di un pranzo di gala quanto di rovesciare come un calzino situazioni preesistenti. Il che, dimenticati per sempre i virtuali profumi del mancato pranzo di gala, ci immerge mentalmente in altri afrori assai poco nobili.

Discontinuità talvolta fa rima con rimpasto o più spesso, per essere prudenti, con rimpastino. Ma che sia rimpasto o rimpastino il suo carattere è sempre provvisorio: un rimpasto per definizione è prodromico (anticipatore) ad un altro rimpasto che ha bisogno di lievitare almeno sei mesi dal precedente, salvo la regola del Cuperlone (chi fa parte di questa corrente del PD entra in giunta per definizione).

E questo in nome dei problemi che avanzano da affrontare “mettendoci la faccia”. Possibilmente facce nuove, espressione di gran moda, forse addirittura nella paura di fronte ad una decisione su materia incerta di dover mettere oltre la faccia anche qualche altra parte del corpo. Comunque, c’è sempre un tavolo, per affrontare complessità che non si nega a qualunque contestazione ed ha valore salvifico e taumaturgico: si disdicono scioperi, ci si alza dai sit-in, si placano furori sindacali, si sciolgono blocchi stradali.

La prima riunione di qualsiasi tavolo si intesterà un progetto da realizzare mediante un percorso e da monitorare attraverso un cronoprogramma. Peccato che una seconda riunione del tavolo non avverrà più rinviando il tutto al miracolistico confronto tra le parti sociali, una pratica che tradotta nel ricettario medico si concretizzerebbe nella mitica soluzione Schoum che notoriamente allevia tutti i mali del mondo (dalle emorroidi all’alito pesante). Ovviamente non sarà mai un tavolo divisivo ma per tradizione dovrà certificare condivisione e concertazione magari sul nulla. In nome di una lotta senza quartiere alle cricche, alle cupole, al sistema della manciugghia. Comunque vada un tavolo di discontinuità. Nell’attesa di una stagione dei cento fiori (come quella avviata in Cina negli anni ’50 per la liberalizzazione della vita culturale, politica, economica e sociale) in Sicilia, nell’era del crocettismo, occorre accontentarsi della stagione dei cento tavoli.

In un contesto parlamentare nel quale partiti di maggioranza e opposizione votano sempre responsabilmente. Termine che decodificato opportunamente vuol dire in modo da non far decadere l’Assemblea prima della sua scadenza naturale. Avendo cioè il tempo di ammortizzare il “tesoretto” necessario per la nuova campagna elettorale. Tra una manovra e manovrina del bilancio regionale come vengono simpaticamente nominati i tagli e l’aumento dell’imposizione fiscale.

Nel gergo politico dominano anche termini come democratico e riformista. Premio per l’originalità alla denominazione all’ Articolo 4 che sarebbe un articolo della Costituzione sul diritto al lavoro. Ci si permetta una provocazione: tra gli altri partiti ne esiste uno che non sia democratico, riformista, laburista? Eppure stenta a farsi strada un neologismo che faciliterebbe la comunicazione: diversamente crocettiani. Se qualcuno lo dovesse utilizzare pretendiamo i diritti d’autore.

 


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