Il romanzo della 500 abbandonata | Uno scatto racconta Palermo - Live Sicilia

Il romanzo della 500 abbandonata | Uno scatto racconta Palermo

La foto inviata dalla lettrice per You Live

Youlive. Una lettrice di LiveSicilia invia una foto in redazione. L'immagine di una Cinquecento abbandonata da anni nel Parco della Favorita. A suo modo, un simbolo.

PALERMO - Youlive
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3 min di lettura

PALERMO- Quasi nulla sappiamo della Cinquecento che da anni raccoglie nel suo silenzio di lamiera le storie palermitane della Favorita. Nulla, se non la labile indicazione della gentile lettrice che ha inviato una foto raffigurante la suddetta con una breve didascalia: “Carcassa esistente al parco LA FAVORITA da oltre 40 anni”. E ci piace riproporre il messaggio, scaturito da Youlive – il terreno che LiveSicilia ha messo a disposizione dei propri affezionati amici per denunciare, proporre, condividere – così come è, senza la minima alterazione di carattere o interpolazione, perché, un soprassalto di amarcord, riproduce lo stile dei bigliettini che si mandavano alle famiglie di un rapito, per chiedere il riscatto, nei telefilm americani. Ricordate? C’era un poliziesco. C’era un riccone rapito. C’era un malvivente che chiedeva il riscatto, serissimo nella sua uniforme delinquenziale. C’era una missiva composta con le lettere ritagliate e rubate ai giornali, affinché la grafia non risultasse riconoscibile, successivamente inviata ai familiari dell’ostaggio.

Anche, seppure per via telematica, la letterina della gentile lettrice rammenta quella procedura, nella improvvisa diseguaglianza fra minuscole e maiuscole, non giustificata da regole e opportunità, se non da un grido dell’anima: ‘LA FAVORITA’. Un urlo che sarebbe protesta per l’incuria del polmone d’ossigeno rapito (ecco il rapimento), per lo stato del parco della preferenza e della bellezza (“La Favorita”) che è viale del tramonto di Palermo. Né bello, né pulito, appunto sfavoritissimo dalla sporcizia e dal presidio della criminalità che lì organizza redditizi traffici di carne umana, sugli scaffali delle ragazzine prostituite, esposte all’occhio dell’automobilista, vendute al maschio in transito.

Quel grido che proviene dall’anima muove a una dolente tenerezza. Potrebbe essere fotocopiato, sovrapposto ai gemiti di tutti. Agli incatenati del traffico. Ai poveri di cose materiali. Ai poverissimi di spirito e di meraviglia che violentano la città e sono vittime della loro stessa violenza. Ai pedoni massacrati. Ai ragazzi derubati di prospettiva. Ai palermitani intrappolati in un nonsenso: tra un passato recente di decadenza e un futuro di sogni difficili, c’è questo presente dal volto arcigno. C’è questo tempo senza cuore che genera angoscia, promettendo il domani e scordandosi dell’oggi. Non è difficile per chi conservi un minimo di luce negli occhi e di dolcezza in qualche forziere rintracciare nella sintassi della ‘lettera della Cinquecento’ il calco di un dolore palermitano, dunque universale.

La macchinetta abbandonata, protagonista di chissà quale storia, è l’icona esatta di una comunità in panne. E’ una radiografia. Sommersa dalle pietre. Annegata nella pesantezza di un terreno arido. La Cinquecento mostra un motore di sassi. L’abitacolo nero, disabitato. Gli sportelli aperti. La carrozzeria devastata, fino a tratteggiare per un pelo una forma compiuta. Notiamo a stento che si tratta di una ‘Fiat 500’, autovettura incastonata nell’epicentro della memoria felice di molti che erano ragazzi e ora sono vecchi. La familiarità mnemonica subisce una ancor più crudele pugnalata alle spalle. La macchinina di papà e mamma o dei nonni, arpionata, aperta come una scatoletta, buttata via, in un luogo aperto come una scatoletta, arpionato e buttato via.

Si innestano tre esperienze tragiche nell’unico scatto. La giovinezza presa letteralmente a sassate, il simbolo di un abbandono inesorabile di un parco, a matrioska inserito nel diario di una distruzione complessiva di Palermo. E certo, la politica regnante ha affermato che un giorno ‘La Favorita’ sarà la gemma più preziosa del gioiello, inframezzando l’annuncio con una bislacca procedura di chiusura, senza altri innesti di senso urbanistico compiuto. Lo crediamo, ci fidiamo. Sinceramente. Però è il maledetto presente che uncina, perché troppo lontano dal domani augurato. Né basta a salvarci l’indice puntato contro il passato.

Nel frattempo, in mezzo a tutto questo, nel frullato del tempo e dello spazio, c’è la Cinquecento indistruttibile, irriducibile, intramontabile. Chissà quante storie potrebbe raccontare la sua dolcezza di lamiera, se solo avesse occhi, con le parole adatte. Chissà perché dobbiamo proprio chiamarla carcassa – lei così viva – mentre idealmente la accarezziamo, con un rimpianto che ha qualcosa dell’amore perduto.


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