Depressione, quella belva nera | che non risparmia nessuno - Live Sicilia

Depressione, quella belva nera | che non risparmia nessuno

La scomparsa di Robin Williams riaccende i riflettori su un tema che non conosce differenze sociali.

E’ notizia di qualche ora fa la tragica scomparsa di Robin Williams: la “breaking news” è rimbalzata sui siti mondiali, e, prontamente, anche su Facebook, questa notte a partire dalle 00:55. Ero assorto nei miei pensieri, nelle mie riflessioni, quando una “breaking” del Time, proprio su Facebook, ha spezzato la concentrazione. Inizialmente credevo, o forse in cuor mio speravo, che si trattasse di una bufala, una di quelle notizie che, spesso, rimbalzano in rete e danno per morto questo o quel VIP. La notizia, però, ha continuato a rimbombare la sua eco, e allora ho capito che quanto avevo letto era la verità. Si parlava di morte alle 11:55 ora locale, di soffocamento, e subito i giornali, forse applicando quella sadica regola del “bad news is a good news”, hanno subito cominciato ad investigare, quasi come dei novelli “coroner”, su cosa possa aver portato l’attore ad impiccarsi. Subito si è parlato dell’alcolismo, dei trascorsi con la droga, della sera in cui, proprio per la droga, vide morire John Belushi, ma, sopratutto, è uscita fuori una parola, una belva nera che non risparmia, che non ti risparmia. DEPRESSIONE.

“L’attore soffriva di una grave depressione”, si legge. E ti viene da pensare, e ti viene da riflettere. Ne parlavo oggi con un mio amico, un noto psicoterapeuta palermitano: ovviamente non posso fare nome per questioni di pubblicità, ma dirò solo che si chiama Gaetano. Proprio con Gaetano discutevo di quanto accaduto, e di come la depressione, alle volte, troppe volte, sia una sorta di “soluzione” ad un male oscuro che “rosicchia” il proprio essere pezzo dopo pezzo.

Ho conosciuto, e conosco, tante persone con problemi di questo tipo, non necessariamente legati alla depressione: parlo anche di ansia, attacchi di panico, disturbi d’ansia generalizzati e similari, che, al pari della depressione – a volte più, a volte meno -, distruggono ciò che resta della propria vita. Nel caso di specie, parlo di Robin Williams, gli eventi si sono accaniti, evidentemente, contro una personalità già martoriata e debole. Corre voce che la chiusura anticipata della sua ultima sit – com, “The Crazy Ones”, sia stato il “colpo di grazia”, la “goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Mi sorprende, tuttavia, che nessuno si sia accorto del suo male profondo.

Senza, per forza, scomodare Hollywood, anche tanti personaggi pubblici del “Bel Paese” hanno deciso di dire addio alle scene (e alla vita) con l’estremo gesto, dettato proprio da quella belva che, probabilmente, li aveva inchiodati con le spalle al muro. Mi riferisco al tristemente celebre caso di Luigi Tenco, o al più misterioso caso di Alighiero Noschese, che si uccise a quarantasette anni con un colpo di pistola. E poi c’è Nino Ferrer, che disse “basta” nella sua amata campagna francese.

Si, ma cosa importa fare la lista di chi si è ucciso… Il loro gesto estremo ha rilegato, secondo alcuni, le loro anime all’oblio degli inferi. E mentre i perbenisti e i sadici si “pungolano” tra loro disquisendo sulla fine che faccia l’anima di chi si uccide, e sul fatto che sia destinata a non aver “prete e messa, perché di un suicida non hanno pietà”, come diceva De Andrè, qualcuno, o più di qualcuno, da qualche parte sta soffrendo, si sente morire, o deciderà estreme conseguenze per dire basta a quella sofferenza, a quella voce che urla il suo dolore e pretende di essere ascoltata.

La depressione, al pari dell’ansia o degli attacchi di panico, sono patologie curabili, per quanto gravi possano essere: da qualche giorno, circola in TV uno spot del “Progetto Itaca”, che racconta il disagio mentale, e ci ricorda che “il primo passo per affrontarlo è parlarne”. Sento ancora tante, troppe persone, dire che “rivolgersi ad uno psicologo o ad uno psichiatra significa essere etichettati pazzi”. Che stronzate: siamo nel 2014 e ancora abbiamo tabù vecchi di cento e passa anni, quando gli psichiatri curavano solo le persone pazze. E guai a dire in giro che sei in cura da un terapeuta, guai! Fosse mai che si venga a sapere: l’onta sarebbe enorme, e si verrebbe subito etichettati come “quelli che hanno una rotella fuori posto”, che “non stanno bene di testa”, quasi da guardare con diffidenza, o da compatire, a secondo dei casi. E’ molto meglio, invece, non dire niente, soffrire ogni giorno di più, veder aumentare la prop ria sofferenza in maniera vertiginosa, e, magari, giungere alle estreme conseguenze. Quello si, è molto meglio!

Mi sono convinto, in questi anni, che avere delle ritrosie sul frequentare un terapeuta solo per paura di essere etichettati come “folli” è l’equivalente di avere una malattia da estirpare al più presto e non curarsi per paura che si sappia in giro: in una parola, è da Teste Di…. Di…. Vabbé, aggiungete voi la parola che vi sembra più consona! Dai, siamo nel 2014 e ancora stiamo qua a parlare della paura di curarsi, della paura “di ciò che gli altri pensano di noi”. Una conseguenza, probabilmente, della società moderna, figlia di canoni che impongono la perfezione e il sorriso, anche quando muori dentro e di sorridere proprio non hai voglia (o peggio, anche quando non riesci più a sorridere…). Esternate il vostro dolore, non abbiate paura di farlo, non abbiate ritrosie o vergogne: parlate con gli esperti del male che sentite dentro. Vi aiuteranno e faranno il possibile per sconfiggere quella belva che pretende di rovinarvi la vita!

Mi accorgo che sto divagando, e che probabilmente i lettori si sono pure rotti le scatole di leggere, visto che ero partito con Robin Williams e sono arrivato a parlare della Società. Ad ogni modo, da credente, rivolgerò ugualmente una preghiera per il caro Robin, anche perché sono certo che il suo gesto è figlio di una disperazione che ha urlato il suo bisogno di essere zittita. E in fondo, sono certo che nessuna persona che decide di porre fine alla propria vita sia spedita da Dio all’inferno. Chi è davvero credente sa che Dio è amore, e sa benissimo quale sofferenza estrema può aver portato una persona ad un gesto così enorme.

Con questo non giustifico il suicidio, sia beninteso, ma penso soltanto che, in certi momenti, esattamente come questo, sia solo una la cosa da fare. Star zitti e riflettere, ricordando che la bocca, ancor prima di essere aperta, dev’essere collegata al cervello. Solo così si ha l’assoluta certezza di non far uscire delle cretinate immonde, anche se, a pensarci bene, con certe persone non ne sarei poi così sicuro…

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