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Il racconto di quando Crocetta decise di applicare integralmente lo Statuto siciliano.

mario centorrino
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3 min di lettura

Narra la storia della Sicilia, letta nel 2024, che dieci anni prima Crocetta, ancora Presidente della Regione, irritato dalle continue provocazioni sulla “buttanissima” Autonomia dell’Isola, e dai continui inviti dell’informazione nordista ad abolirla, prese, consigliato dai “tecnici” del suo cerchietto magico, una decisione a dir poco clamorosa. Decise cioè di applicare integralmente lo Statuto in tutti i suoi articoli avvalendosi della natura di legge costituzionale rivestita dallo Statuto stesso.

In primo luogo, abolì l’art. 8 secondo il quale il Commissario dello Stato poteva proporre al governo nazionale lo scioglimento dell’Assemblea Regionale per persistente violazione dello Statuto medesimo. Un pensiero in meno, insomma. Su pressione dell’Assessore competente si sfruttò l’art.17 per regolamentare l’istruzione universitaria abolendo gli esami (un’inutile formalità, vennero definiti in una conferenza stampa). Gli Atenei dell’Isola videro di colpo moltiplicarsi i loro iscritti e scalarono le vette delle graduatorie nazionali.

Poi, diede piena applicazione all’articolo 22, secondo il quale la Regione avrebbe potuto partecipare alla formazione delle tariffe ferroviarie dello Stato, con il segreto proposito di rincararle al punto tale che i treni fossero ben presto aborriti, quindi aboliti e sostituiti con i bus. Con il doppio scopo di liberare la bella terra di Sicilia dalle antiestetiche linee ferrate, e anche, di accontentare qualcuno, distogliendolo dall’idea di creare una nuova linea aerea con i contributi della Regione.

Ma il meglio era ancora da venire. Si diede, udite udite, piena applicazione all’articolo 31, secondo il quale la Polizia di Stato dipendeva disciplinarmente per l’impiego e l’utilizzazione dal Governo regionale (a meno di casi eccezionali, quando fossero in gioco l’interesse generale dello Stato e la sua sicurezza).

“Ti piace vincere facile”? Pare fosse questo il commento serpeggiato in ambienti poco frequentabili. E ancora, rincarava la dose il Presidente, resuscitando l’articolo 31, che avrebbe dato così il diritto di proporre, con richiesta motivata al Governo centrale, la rimozione, o il trasferimento dall’Isola, dei funzionari di polizia. Rovesciando una prassi consolidata ma non contemplata dallo Statuto in base alla quale, prima, alcuni di loro, scelti sulla base di esperienze non politiche, venivano designati al ruolo di deputati regionali.

Tolleranza zero, ribadì il Rudolph Giuliani dei poveri, a pena di blocco dei trasporti da e per l’Isola, sulla piena applicazione dell’articolo 37 (tasse da pagare per chi ha stabilimenti nella Regione anche se non vi ha la sede locale) e sull’art. 38 (fondi versati dallo Stato alla Regione a titolo di solidarietà nazionale per bilanciare il minore ammontare dei redditi della Regione, in confronto alla media nazionale). Da destinarsi, in base a un piano, nell’esecuzione di lavori pubblici.

Restò il problema del piano, la cui stesura veniva rinviata a più favorevoli condizioni: un’inezia, tuttavia. In fondo, i piani sono una “camurria” inutile. Una fatica immane per predisporli ed un cassetto enorme da liberare per conservarli a futura memoria.

Colpo di scena finale. Senza ma e senza se, via con l’attuazione dell’articolo 40. Ai bisogni della regione sarebbero andate per intero, attraverso una Camera di compensazione, le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigranti, dal turismo e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani. Altro che default di bilancio!

“Vi siete divertiti a “sputtanare” l’Autonomia?”, sembra fossero state le fatali parole. “Ora vi faremo vedere cosa implicava lo Statuto quando venne ideato (anni ’40, ormai preistoria) dai padri nobili della Sicilia che fu, da Sturzo a La Loggia”, passando per Canepa e Finocchiaro Aprile.

Come andò a finire? Il serpeggiante dissenso strisciò attraverso sottili pratiche di convincimento messe in atto dallo Stato, applicando con il consenso dell’Assemblea l’articolo 10 che prevedeva quanto occorresse fare in caso di incapacità manifesta del Presidente della Regione. Tutto finì lì. E la Sicilia si riprese lo stigma di isola “buttanissima”.

P.S. In questo esercizio di fantapolitica, i riferimenti agli articoli dello Statuto regionale della Sicilia sono puramente autentici.

Mario Centorrino

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