Per vent'anni nel "cappio" del pizzo | "Boohm! La prossima è vera" - Live Sicilia

Per vent’anni nel “cappio” del pizzo | “Boohm! La prossima è vera”

Un frame dei filmati registrati dalle telecamere dei Carabinieri

Ad un certo punto le richieste estortive, "per una protezione maggiore", sono passate da 500 a 3000 euro al mese. L'imprenditore è stato "liberato" grazie al lavoro investigativo di Dda e Carabinieri.

Le intercettazioni
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CATANIA – Quando ha visto che i carabinieri hanno messo le manette ai polsi ad uno dei suoi aguzzini ha trovato il coraggio di affidarsi alla giustizia. L’imprenditore, con coraggio, ha rimosso il “cappio” dal collo che da venti lunghi anni lo soffocava e lo legava a doppio filo a criminali senza scrupoli provenienti dalle file della cosca Santapaola. Un meccanismo perverso quello scoperto dai carabinieri di Catania, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania guidata da Giovanni Salvi, che ha portato lo scorso 20 agosto ad acciuffare con le mani nel sacco Vincenzo Mirenda. Stava intascando il pizzo di 3 mila euro dalla vittima.

I SETTE AGUZZINI – Un’indagine che si è conclusa con la convalida del fermo per Vincenzo Mirenda  e all’emissione da parte del Gip dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per altre cinque persone e una ai domiciliari per una donna, Laura Guarnaccia. In carcere i due presunti complici, Vittorio Fiorenza, 33 anni, e Antonio Varisco, 49 anni. Notificata l’ordinanza anche a tre elementi di spessore di Cosa nostra catanese, già in gattabuia per altre inchieste, Francesco Carmelo Arcidiacono, 54 anni, Salvatore Fiore, 47 anni, e Salvatore Gurrieri, 41 anni. La procura li indica “come appartenenti ai gruppi del Villaggio Sant’Agata e di San Giovanni Galermo”. (LE FOTO)

UN INCUBO DURATO 20 ANNI – L’estorsione è durata due decenni, e secondo le risultanze investigative, le aziende taglieggiate sarebbero due. Ingenti introiti che servivano a foraggiare gli affari illeciti dei Santapaola. I nomi finiti nel fascicolo della Dda sarebbero i vari estortori che si sono alternati negli anni: quando uno degli indagati finiva in carcere veniva sostituito da un altro soggetto che, senza perdere tempo, contattava la vittima. E non finisce qui, ad un certo punto la somma da versare passa da 516 euro (prima della moneta unica era un milione di lire ogni mese) a 3 mila euro. Tutto per garantire “una protezione maggiore nei paesi” dove operava l’imprenditore. La somma che poteva “affossare” l’impresa venne imposta e regolarmente pagata, come inequivocabilmente dimostra l’arresto in flagranza.

L’INDAGINE – Oltre al video che immortala la scena con cui Vincenzo Mirenda prende in mano i tre mila euro, ci sono una serie di intercettazioni che hanno permesso agli investigatori di delineare un preciso quadro indiziario e accusatorio che ha retto davanti al Gip. “L’ 8 agosto – scrivono gli inquirenti – era stata avviata un’articolata attività tecnica di intercettazioni telefoniche ed ambientali, affiancate anche da videoriprese esterne, finalizzate al monitoraggio costante del chiosco gestito dall’indagato (Vincenzo Mirenda ndr)”.

LE INTERCETTAZIONI. Tutto parte da una minaccia anonima: “Boohm! Vedi che la prossima volta è vera“. Una chiara intimidazione, quella intercettata dai carabinieri, all’indirizzo della vittima che era stato contattato affinchè si preparasse “duecentomila euro” e si trovasse “un buon amico“. Dell’avvertimento viene informato Vincenzo Mirenda, a cui mensilmente l’imprenditore versava 3 mila euro. Il consiglio è: “La prossima volta tu gli dici – afferma in una conversazione captata – una coppa di champagne, ripetilo due volte. Noi abbiamo i nostri codici” assicura. Ed è così infatti: tutto viene risolto tra gli estorsori (“Abbissanu tra iddi“).

I tremila euro pagati dalla vittima

IL VERSAMENTO DEL PIZZO. Lo scarico del calcetto“. Era questo il codice per indicare che era arrivato il tempo di pagare. La frase captata dai carabinieri non disorienta gli investigatori che capiscono che l’ora X è scattata: è la data del versamento del pizzo. Predisposti gli ingranaggi della trappola. La vittima consegna la busta con quanto pattuito: “Ti do il dovuto“. Mirenda ha appena il tempo di contare la somma, 3 mila euro, che si trova circondato dai Carabinieri.

 

 



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