La 'sfera di cristallo' del futuro| Ecco Big Data - Live Sicilia

La ‘sfera di cristallo’ del futuro| Ecco Big Data

Il futuro non lo si può prevedere, ma di certo lo si può studiare. Ecco che viene creato il Nostradamus odierno.

rosamaria alibrandi
di
9 min di lettura

E’ possibile predire il futuro. A dirlo non è un manipolo di chiaroveggenti e maghi, ma la tecnologia che avanza. Vi sono nuovi strumenti per indagare la realtà percepibile ed anche quella ancora da venire, che costituiscono la sfera magica da interrogare, i cosiddetti Big Data, dei quali occorre solo, a quanto sembra, saper decifrare i responsi. E con ben altra precisione rispetto all’esercito di furbetti che profittano dell’altrui dabbenaggine.

Del fenomeno dell’occultismo si è avuto modo di trattare in altra sede (R. Alibrandi, M. Centorrino,L’economia dell’occulto ieri e oggi,Il Ponte, LXX, 4, 2014). E’ opportuno ricordare come in terra di Sicilia, sebbene i più siano restii ad ammetterlo, pullulino i superstiziosi. Sedicenti stregoni e fattucchiere di varia natura, anche in costanza di una crisi economica senza pari, continuano a fare affari d’oro; un buon numero di televisioni locali offrono spazio a veggenti e occultisti che si autodefiniscono “numerologi”, capaci di prevedere i famosi “tre numeri al lotto”, magari da estrarre dalla data di nascita dell’interessato, dalla interpretazione di un sogno o di un evento strano, in quanto il fenomeno è connesso ad una ulteriore piaga sociale, il gioco, che conta proseliti trasversalmente in tutti gli strati della popolazione.

Inoltre, per combattere contro la sfiga che (mentre la fortuna è cieca) come è noto ci vede benissimo, corni rossi e ferri di cavallo sono obsoleti. Forse erano troppo economici. Meglio andare di nascosto nelle traverse di Palermo piuttosto che di Messina o Catania, a farsi turlupinare da abili soggetti che hanno i poteri soprannaturali di un merluzzo congelato, tuttavia hanno quello naturale di farsi pagare bene per proteggere dal malocchio di malvagi e invidiosi. Sulla dabbenaggine, e talvolta sulla disperazione altrui, molti lucrano senza scrupoli.

Forse, però, hanno i giorni contati. Ciascuno, con un po’ di buona volontà, anziché interrogare le stelle o le carte, potrebbe provare ad interrogare i “grandi dati” offerti dalla rete.

Una ricerca condotta da Eric Horvitz, del team di scienziati della Microsoft, con Kira Radinsky, del Technion Israel Institute of Technology, lo scorso anno ha fornito risultati impressionanti riguardo al lavoro svolto da un megacervellone che ha analizzato “22 anni di storia e notizie”. L’ambizioso progetto, “Mining the Web to Predict Future Events”, ha dimostrato la capacità di predire una serie di eventi con un’approssimazione minima. E’ fantascienza, o siamo al ritorno di Nostradamus?

Né l’una né l’altra delle due fascinose ipotesi. Tra breve, potremo prevedere il verificarsi di un importante fenomeno climatico o lo scoppio di una guerra. La “sfera di cristallo” ha una base scientifica molto più solida di quanto possa sembrare, perché poggia su solide fondamenta informatiche, i Big Data, appunto, la cui evoluzione velocissima corre verso la realizzazione del mito dell’intelligenza artificiale. I responsabili del progetto ritengono che se il Web genera quotidianamente miliardi di dati nei più svariati formati, ci dovrà pur essere un modo per trasformare una tale massa di informazioni in conoscenza attiva.

Ecco che viene creato il Nostradamus odierno, “Minining the Web”, in grado, ora dopo ora, di usare il web come fosse una miniera di dati, contenuti negli archivi dei mass-media, dei ministeri e delle istituzioni finanziarie, per ricavarne previsioni su ciò che potrebbe succedere in un dato contesto in ogni parte del mondo.

Gli scienziati sostengono di avere un metodo di studio che consente l’estrazione automatica e la generalizzazione delle sequenze di eventi dalle notizie memorizzate e dalle risorse multiple del web, per cui possono valutare il “potere predittivo” del sistema rispetto agli eventi del mondo reale.

Ma cos’è un Big Data?

Si tratta di una raccolta di dataset (che a loro volta sono collezioni di dati) complessa, che va aumentando in modo progressivo, accatastati in quanto è necessario condurre le analisi su un unico insieme di dati, con l’obiettivo di estrarre informazioni aggiuntive rispetto a quelle che si potrebbero ottenere analizzando, invece, solo piccole serie separate, anche se queste assommassero la stessa quantità totale di informazioni. Uno degli scopi principali dell’analisi, non è “salvare il mondo”, ma sondare gli umori dei mercati e del commercio, e quindi del trend complessivo della società e del fiume di informazioni che viaggiano e transitano in Internet.

Big Data raccoglie dati provenienti da fonti eterogenee, quindi non soltanto i dati strutturati, come i database, ma anche quelli non strutturati, come immagini, email, dati GPS, e, soprattutto, informazioni prese dai social network nei quali siamo tutti attori spesso inconsapevoli.

Il futuro, forse, non lo si può prevedere, ma di certo lo si può studiare. Ed è straordinario come l’accuratezza degli scenari che possiamo anticipare stia aumentando. Opinione pubblica e consenso, crisi economiche, pandemie e mutamenti geopolitici: la serie di indicatori scientificamente trattati che scaturisce dai Big Data, un vero fiume di informazioni che produciamo e di cui lasciamo traccia attraverso Internet e altri mezzi in cui parliamo di noi, producono le cosiddette “briciole digitali”, come le chiama Alessandro Vespignani, professore alla Northeastern University di Boston e direttore scientifico della Fondazione ISI di Torino, ovvero tutte le informazioni che l’uomo lascia al suo passaggio ogni volta che si collega a Twitter o Facebook, fa transazioni in rete, usa Ebay, prenota voli, viaggia seguendo il tracciato di un Gps, che consentono di studiare la direzione di macroscenari in fieri, anticiparli e, persino, di cambiarli. Dalla innocua possibilità di prevedere chi vincerà la finale di “X-Factor”, sistematizzando la massa di opinioni delle centinaia di migliaia di persone che poi votano da casa, che viaggia via Twitter, a situazioni ben più pericolose come l’evoluzione della pandemia del virus A/H1N1, rispetto alla quale i computer sono riusciti a predire in buona misura la diffusione nel mondo fornendo informazioni per contenere l’emergenza, e, ancora, alle indicazioni sull’opinione pubblica, che a loro volta influenzano i mercati finanziari e le relazioni internazionali tra gli Stati, la manipolazione dei dati offerti dalla rete ha mutato lo scenario sociopolitico mondiale: al medesimo tempo, appare tanto piena di risorse quanto inquietante.

La scienza, lo si dovrebbe sapere, non è mai neutrale: è di importanza fondamentale il “come” venga usato il potenziale dei Big Data.

E se fare previsioni significasse anche interferire con gli scenari che si analizzano? Se nel caso delle pandemie la diffusione delle conoscenze può fare la differenza tra il panico e il contenimento dell’emergenza, cosa accade, invece, quando si utilizza nel campo politico?

Nel fare previsioni i modelli statistici e computazionali possono aggiornare continuamente le informazioni, correggendo così la visione della realtà. In occasione delle elezioni europee tenutesi nel maggio scorso, per fare un esempio, Rainews ha utilizzato le previsioni dei Big Data. Sette milioni di tweet analizzati per capire di cosa e di chi parlasse la rete per capire chi avessero scelto di votare gli elettori, fotografati in tempo reale sul portale informativo della Rai. Rainews.it ha messo online una sezione dedicata ai Big Data, già utilizzati con successo nel 2012 da Obama per capire come si muoveva il web in vista delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, e sul suo sito si sono confrontati gli hashtag dei temi più discussi, abbinate le parole chiave a ciascun candidato, sviscerati i temi più trattati nelle ultime ore di campagna elettorale per provare a capire chi, tra i leader politici, stesse conquistando terreno e fosse maggiormente citato nei social network. E scoprire anche se, e come, la televisione influenzasse la rete e viceversa.

Un recente saggio di Andrea Parafioriti, The big data e la conoscenza nella società del web 2.0, Narcissus.me 2014, ammonisce su un rischio: il Big Data è utile se correttamente applicato; in caso contrario, se usato come sistema di previsione, se ne confermano i limiti, legati a errate disamine.

L’idea che Twitter possa fungere da “sfera di cristallo” attraverso cui prevedere gli eventi futuri, non è nuova, difatti. Il network è usato da tempo, con maggiore o minore successo, per misurare variabili di ogni tipo, dall’andamento dei titoli in Borsa, ai risultati dei film al botteghino, alle influenze stagionali, fino ai movimenti di protesta con potenziali risvolti di natura socio-politica. Se fosse davvero possibile anticipare una rivolta, i governi democratici potrebbero porre in essere azioni mirate a risolvere i problemi più pressanti. I regimi dittatoriali, al contrario, potrebbero sfruttare le notizie per soffocare sul nascere qualsiasi esigenza di libertà.

L’uomo, da quando è sulla terra, attiva il proprio intelletto e le sua conoscenze alla ricerca continua di correlazioni tra fatti, esperienze, informazioni. La finalità è comprendere, “non viver come bruti” ma accrescere la conoscenza attraverso il pensiero e l’analisi del mondo attorno. Oggi, Big Data, la sua “supercreatura”, lo affianca (o lo fronteggia?) attivando i propri sistemi di analisi e algoritmi, creando continuamente correlazioni ed interrelazioni tra fatti, argomenti, informazioni. Tutti elementi datizzati: e il concetto di “datizzazione”, occorre ricordarlo, è la spina dorsale dei social media che prosperano sul web, che prendono elementi intangibili della nostra vita quotidiana e li trasformano in dati che si possono usare per fare cose nuove (V. Mayer-Schönberger, K. Cukier, Big Data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e già minaccia la nostra libertà, Garzanti 2013).

La finalità è costruire modelli per trovare correlazioni non immediatamente evidenti, al fine di accrescere la conoscenza attraverso l’analisi del mondo digitalizzato. A qualsiasi gruppo questo sia utile, dai colossi finanziari all’azienda locale, noi utenti appariamo come ignari destinatari. Di continuo riceviamo suggerimenti su cosa acquistare, indossare, mangiare, leggere. La navigazione in rete è così personalizzata da anticipare gli utenti persino nella scrittura delle query su un motore di ricerca. Internet non solo anticipa le scelte dell’utente, ma ad arrivare perfino a persuaderlo che talune decisioni siano giuste, sebbene non le avesse, talvolta, neanche immaginate. Apparentemente onnipotenti, siamo legati a delle strategie. Pertanto, in quel contenitore indefinibile e senza limiti che è il web è necessario che sorgano dei confini. Quelli che segna il soggetto-persona, per tutelare il proprio spazio, tesi a fronteggiare la logica degli affari, che, esasperando l’interesse, ne affievolisce gli impatti sociali positivi.

Lo studio dei Big Data è pertanto di fondamentale importanza per la nuova società digitale, ma, come sempre, c’è il rovescio della medaglia. Perché, diciamolo chiaramente, da una parte essi possono essere utilizzati, se va loro a genio, dai potenti della terra per la sicurezza della popolazione, ma, dall’altra, le informazioni relative alla nostra vita, immagazzinate spesso a nostra totale insaputa, possono essere usate per i motivi più disparati generando una forma di lesione dei diritti e della privacy.

Un tale scenario, presente e futuro, è ancor tutto da disegnare, e appare nebuloso. Che sia per questo che abbiano inventato il cloud computing?

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI