La ricerca della felicità - Live Sicilia

La ricerca della felicità

E per un attimo, sembra quasi di vedere la felicità. Attraversa lo schermo. È numerata. Passa ogni cinque minuti. Ma non si ferma mai.

C’è un uomo che cammina per le vie del centro. Tiene in mano una bottiglia di birra, ha lo sguardo nel vuoto, e parla da solo. “Non c’è lavoro!”, urla. I passanti lo allontanano, ma tutti annuiscono. Gli danno ragione. Nello stesso momento, a pochi metri di distanza, un gruppo di uomini affolla la ricevitoria all’angolo della strada. Se ne stanno fermi, con gli occhi puntati sullo schermo per controllare le estrazioni in diretta del 10 e lotto. E per un attimo, sembra quasi di vedere la felicità. Attraversa lo schermo. È numerata. Passa ogni cinque minuti. Ma non si ferma mai. Scene di vita quotidiana. Uno spettacolo di rabbia e frustrazione del quale siamo tutti protagonisti. Guardandosi in giro, viene quasi spontaneo fare un bilancio. Domandarsi come siamo messi e che cosa siamo diventati.

Oggi, ad esempio, il concetto di felicità si è ridotto ad essere sinonimo di sopravvivenza. Non abbiamo imparato la lezione dei saggi: “La felicità è stare bene con se stessi”. Impossibile, verrebbe da aggiungere, quando il mondo che ti circonda è in caduta libera, e tu insieme a lui. Non sappiamo più vivere. Andiamo avanti, arrancando come tanti soldati che scivolano in basso, incalzati da messaggi che diffondono il seme della distrazione. Qualcuno dà la colpa alla società. E alla politica. Quella che un tempo entusiasmava i giovani. La stessa politica che oggi non appassiona più perché riproposta come un copione mai aggiornato. E i giovani sono stati abbandonati a se stessi, convinti che la felicità sia racchiusa nel nuovo iPhone 6. Sì, per loro la felicità ha il prezzo di uno smartphone: 800 euro circa.

Ma siamo in tempo per salvarci? Possiamo vivere una vita felice? E, soprattutto, cos’è una vita felice? Lucia, 36 anni, laurea in Lettere moderne e un centinaio di curriculum nel cassetto, dice che non si può essere felici senza un lavoro. “Non puoi fare nulla. Senza lavoro, sei impotente. A chi ricorre alla filosofia, dico: come si può stare bene con se stessi quando non hai uno straccio di obiettivo e la possibilità di immaginare il futuro?” Dario ha 55 anni, un assegno scoperto, il direttore della banca che lo chiama al cellulare, e un conto in rosso. Lui dice che non ha tempo per pensare alla felicità. Tempo. Un fattore fondamentale per condurre la ricerca. Quello che manca a molti di noi, impegnati a subire la solita routine. Un po’ come Veronica che è stata abbandonata dal marito e vive in un monolocale con il figlio di sette anni. Ogni giorno, dopo aver accompagnato il bambino a scuola, imbocca l’autostrada e va a Carini, dove lavora come commessa in un supermercato. “Non posso neppure permettermi la depressione”, dice.

Qualcuno prova a risvegliare le coscienze addormentate: “Inventatevi qualcosa, non state fermi ad aspettare”. Pura verità. Lo ha capito Federico, impiegato di 38 anni, che ha analizzato la sua vita e ha realizzato che non poteva più aspettare. Se n’è reso conto una sera quando, ascoltando il telegiornale, si è accorto che tutte le notizie somigliavano a tanti bollettini di guerra. E seminavano terrore. Allora si è sbarazzato della televisione, del Pc e dello smartphone. Si è liberato del progresso, della possibilità di avere tutto a disposizione. Ha recuperato un quaderno e ha ricominciato a scrivere, una sua vecchia passione. Di colpo, ha smesso di lamentarsi perché la realtà ha smesso di terrorizzarlo. Adesso è più sereno. Vuole aprire un centro culturale. E imparare a camminare a piccoli passi. Senza correre. “Questa è la mia piccola e romantica battaglia – dice Federico – ma se guardo fuori dalla finestra, non riesco ad essere ottimista. Siamo tutti confusi. Corriamo, ma non conosciamo la destinazione. Votiamo, ma poi ci lamentiamo. Troviamo un lavoro, ma poi usciamo di corsa dall’ufficio perché non possiamo rinunciare all’aperitivo. Sgomitiamo con il vicino, imprechiamo, ci indebitiamo per cose futili, ci crogioliamo nell’insoddisfazione, passivi con noi stessi, ma in continua lotta con gli altri. Abbiamo perso la ragione”.

Di esseri irrazionali ce ne sono tanti in giro. Alle otto di sera, ad esempio, l’uomo che camminava per le vie del centro è ancora per strada. Ripete che non c’è lavoro, forse ce l’ha con se stesso, si trascina lungo il marciapiede con l’aria stanca. Nello stesso istante, all’interno della ricevitoria all’angolo della strada, ci sono ancora due uomini che stanno guardando lo schermo per controllare le estrazioni del 10 e lotto. Se ne andranno soltanto quando lo schermo si spegnerà. Lo spettacolo della follia continua. Te ne rendi conto ad ogni passo che fai. E tornando a casa, ti domandi se forse non sia davvero il caso di recuperare l’essenziale, abbandonare la pista che non conduce da nessuna parte, imboccare una strada diversa, magari solitaria. Perché qui non si parla della felicità come di quel dovere sbandierato e imposto dalla nostra epoca. No. La posta in gioco è un’altra: imparare a vivere. E a muoversi nella logica dissennata di questo mondo traballante.

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