Il padrino alla sbarra - Live Sicilia

Il padrino alla sbarra

Accetta di farsi interrogare Biagio Sciuto, accusato di essere il mandante dell'omicidio di Sebastiano Fichera. L'imputato va contro i collaboratori di giustizia. Ma su un certo summit a Librino, la sua versione vacilla. (Nelle foto, l'imputato e il "trono" fotografato nella sua casa dalla Squadra Mobile)

Biagio Sciuto, imputato del processo Revenge III

CATANIA – Biagio Sciuto decide di parlare. Accetta di rispondere alle domande dei magistrati e proclama la sua “innocenza”. Non avrebbe ordinato di uccidere Sebastiano Fichera nel 2008 e smentisce anche di essere mai stato un capo clan della mafia catanese. L’imputato etichetta i collaboratori di giustizia, che lo accusano, raccontatori di “balle”. Il processo sarebbe un “tranello“ creato ad opera d’arte, soprattutto da Gaetano D’Aquino, che Sciuto “non frequentava perché pensava fosse un gay”. Ma poi su quel summit a Librino dove, secondo i pentiti, Sciuto avrebbe ammesso “di aver fatto ammazzare Ianu Fichera”, la versione del capomafia vacilla.

Sono i passi salienti dell’ultima udienza del processo Revenge 3, per lo stralcio che si celebra con il rito ordinario davanti la Corte d’Assise, presieduta da Rosario Cuteri. Nell’abbreviato il Gup ha comminato condanne per oltre due secoli di carcere, e a breve si conoscerà il verdetto d’appello.

Le parole del padrino, imputato per omicidio, sono fondamentali per determinare il proseguimento del procedimento penale che vede alla sbarra anche Girolamo Ragonese, che ha deciso di non sedersi al banco degli interrogatori.

Il murale in memoria di Sebastiano Fichera a San Giorgio

Per la Dda di Catania, Biagio Sciuto sarebbe il mandante dell’omicidio di Sebastiano Fichera, il piccolo boss ucciso in via Cairoli il 26 agosto 2008. Ianu Fichera, a cui è dedicato un murales commemorativo nel quartiere San Giorgio, sarebbe diventato una pedina scomoda, troppo indipendente. Sciuto non avrebbe “digerito” il fatto che Fichera aveva intascato soldi provenienti dal traffico di droga e anche da un politico per le elezioni regionali senza fare “assaggiare” nulla alla “famiglia”.

L’agguato sarebbe stato pianificato con la complicità di Giacomo Spalletta, “compare” dell’imputato. Proprio il giorno dell’omicidio, c’è stato un tentativo di contatto telefonico tra i due. I tabulati telefonici, in mano agli inquirenti, mostrano la chiamata partita da un’utenza nella disponibilità dell’imputato verso un numero collegato a Spalletta. Sciuto è stato il testimone di nozze di Giacomo Spalletta: ucciso qualche mese dopo Fichera. Secondo la Dda di Catania ad ammazzarlo sarebbero stati i vertici dei Carateddi per vendicare “Ianu”.

A puntare l’indice contro Biagio Sciuto ci sono due collaboratori di giustizia, Gaetano D’Aquino e il killer dei Cappello, Gaetano Musumeci. D’Aquino parla anche di un incontro risolutore tra gli “Sciuto” e i “Carateddi”, dove lo stesso imputato si sarebbe “intestato la paternità del delitto” e avrebbe motivato la decisione come atto di ”epurazione interna al gruppo”. La riunione si sarebbe svolta a Librino, a casa di Mariu U Lintinisi. “Loro stanno dicendo un grossa balla su di me” è la versione dell’imputato.

Sciuto, a suo dire, non avrebbe mai partecipato all’incontro a Librino. Ma, proprio sul summit a casa del “lentinese”, l’imputato sembra ad un certo punto contraddirsi: “D’Aquino in questa riunione non c’è stato mai, non lui, né Musumeci, no Pettinati, queste persone qua in questa riunione non ci sono mai saliti”. Una frase che non sfugge al pm, che chiede: “Se lei non c’è mai andato, come fa a sapere se D’Aquino c’era, se D’Aquino non c’era, se Pettinato c’era?”. Le risposte di Sciuto sollevano interrogativi che in fase di controesame l’avvocato Strano Tagliareni prova a chiarire. “Il Pubblico Ministero giustamente – spiega – ha sottolineato se lui non c’era a questa riunione come fa a sapere che non c‘era? Il mio assistito ha chiarito – conclude il difensore – che l’ha semplicemente letto” (Nei vari verbali dei processi ndr).

Biagio Sciuto nega qualsiasi “rapporto” con la vittima, Sebastiano Fichera. Rivolgendosi direttamente al Presidente della Corte, Cuteri, il boss precisa: “Io a questo ragazzo non lo conoscevo”. E nel controesame del suo collegio difensivo, composto dagli avvocati Francesco Strano Tagliareni e Arduino La Porta, ribadisce “che è innocente”.

L’imputato si sente vittima di un “tranello”. “In questo processo sono stato attirato” da una voce che “hanno fatto passare nel quartiere: ‘E’ stato il clan Sciuto’, quando io clan non ne ho”. E in questa trapolla lo avrebbe voluto far cadere soprattutto Gaetano D’Aquino, per un regolamento di conti “personale”. Un astio dovuto ai presunti orientamenti sessuali del collaboratore di giustizia. Sciuto aveva fatto sapere nel quartiere che lui a D’Aquino “non lo voleva frequentare perchè sembrava un gay, per come vestiva, per come si tingeva le unghie”.

Negli atti del processo sono entrati anche i verbali di un nuovo collaboratore di giustizia, il trafficante Domenico Querulo che ha raccontato ai magistrati di essere stato a casa di Sciuto proprio il giorno dell’omicidio di Sebastiano Fichera. In quella casa dove Sciuto aveva il suo trono personale, una poltrona in legno con due leoni intagliati sui pomelli dei braccioli. L’imputato spiega che la visita di Querulo era per fare un favore al padre, che era suo cugino, perché aveva saputo che aveva problemi con la droga. Nel corso del controesame della difesa, l’imputato racconta che fu una visita di mezzora: il tempo di mangiare qualcosa e dirgli: “Finiscila di drogarti”.

Il dibattimento si riaprirà a fine anno: nella lista dei testi chiamati a deporre dalla difesa compare Orazio Finocchiaro. ll boss, imputato in un altro processo per associazione mafiosa al clan dei Cappello Carateddi, è difeso dall’avvocato Francesco Strano Tagliareni. Per l’interrogatorio dovrà nominare un altro legale.

 

 


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