I pizzini e il raid a casa di un imprenditore| Così Messicati Vitale era tornato al potere - Live Sicilia

I pizzini e il raid a casa di un imprenditore| Così Messicati Vitale era tornato al potere

La consegna di un pizzino ad Antonino Messicati Vitale

Una sequenza di scatti immortala la consegna di un pizzino al presunto capomafia tornato ieri in cella. Si sarebbe ripreso lo scettro del comando a Villabate. Nell'inchiesta spuntano storie di estorsioni, strani contatti via Skype e l'assalto nel cuore della notte all'abitazione di un grossista di carni.

L'ARRESTO DEI CARABINIERI
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PALERMO – Incontri, pizzini, strane rapine e messe a posto. Su Antonino Messicati Vitale sono piovute nuove accuse. Ecco perché l’uomo indicato al vertice della mafia di Villabate è tornato in cella un anno dopo la scarcerazione per decorrenza dei termini della custodia cautelare scattata quando i carabinieri posero fine alla sua latitanza a Bali.

La scarcerazione è del dicembre 2013. Alle 20 del giorno di Natale di due anni fa i militari del Nucleo investigativo di Palermo registrano il primo segnale del suo presunto ritorno in campo. Atanasio Leonforte suona al citofono della casa di Messicati Vitale, al civico 5 di largo Torre, a Ficarazzi. Leonforte sarebbe stato arrestato alcuni mesi dopo, nel giugno 2014, con l’accusa di avere retto la famiglia di Ficarazzi. Proprio come Giuseppe Comparetto, pure lui in carcere, l’uomo che Messicati Vitale – sarebbe stata una delle sue prime decisioni – avrebbe scelto per sostituire Leonforte. Quest’ultimo non digeriva il declassamento: “Mi innervosisco… ma insomma ti viene a dire a casa tua che stai facendo”.

Il ritorno al potere di Messicati Vitale è stato di recente ricostruito anche da Salvatore Lo Piparo, uno degli ultimi collaboratori di giustizia del clan bagherese: “Il discorso di Comparetto mi disse che lui stava seminando, non c’era bisogno che mi rivolgevo direttamente a lui, ma mi potevo rivolgere o ad Atanasio o a Pietro, pure ca Pietro faceva parte di Bagheria… picchi c’è stato un piccolo cambio di guardia che tu sai e sai pure, dice, che ci misero a Tonino Messicati Vitale a Villabate”.

Il primo giorno di aprile 2014 i carabinieri del Nucleo investigativo, guidati dal maggiore Alberto Raucci e dal capitano Salvatore Di Gesare, raccolgono quella che sarà, dicono gli investigatori, la prova che Messicati Vitale è tornato ad essere il punto di riferimento in paese. Alle 8 del mattino un uomo, Giovanni Cerrito, lascia un foglio di carta piegato nella fessura della porta di casa Messicati Vitale. Mezz’ora dopo il presunto capomafia scende e si allontana a piedi, tenendo qualcosa in mano. Scatta la perquisizione e i carabinieri trovano due pizzini. Uno è particolarmente significativo. C’è scritto: PIETRO FLAMIA 800 COLLANA BATT. X NIPOTE TOTO’ SCALISI COLLANA + CROCE 1.100 GIORGIO PROVENZANO EBERARD OROLOGIO 2.000.

E’ stato Sergio Flamia a decriptarne il significato: suo fratello Pietro aveva acquistato dal gioielliere Silvio Girgenti una collana per il battesimo del nipote che non era stata pagata; Salvatore Scalici, allora in stretti rapporti con Carmelo Bartolone e Vincenzo Graniti, aveva acquistato, sempre da Girgenti, un’altra collana; Giorgio Provenzano, infine, aveva preso in gioielleria un orologio di marca Eberhard. Da qui la conclusione degli investigatori: Girgenti ha chiesto a Messicati Vitale di intercedere per fargli recuperare i crediti. Se Provenzano sarà arrestato nel giugno successivo con l’accusa di essere capo decina a Bagheria, Girgenti diventerà il principale interlocutore di Messicati Vitale. I due, infatti, si sono sentiti spesso via Skype mentre il presunto capomafia era latitante, ma anche mentre era rinchiuso nel carcere indonesiano.

Infine, nell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Teresi e dai sostituti Mazzocco, Malagoli e Picchi, c’è anche un tentativo di estorsione e una rapina ai danni di un commerciante di carni e di un suo parente. La notte del 26 giugno scorso un gruppo di cinque malviventi, armati con pistole semiautomatiche, pettorine della Dia e guanti in lattice, fanno irruzione in un’abitazione di Bagheria. Dicono di dovere fare una perquisizione.

La verità sarebbe un’altra. I carabinieri del comando provinciale (il fermo di Messicati Vitale è il primo risultato di peso sul fronte antimafia dall’arrivo del neo comandante Giuseppe De Riggi) e del Nucleo operativo – il comandante è Salvatore Altavilla – hanno ricostruito che qualche giorno prima dell’irruzione Messicati Vitale aveva incrociato il grossista di carni nel retrobottega di una macelleria. Gli avrebbe fatto capire che adesso comandava lui e che doveva mettersi a posto. Al no del commerciante Messicati Vitale avrebbe reagito minacciando ritorsioni. L’ipotesi è che la rapina camuffata da perquisizione potrebbe essere stata la conseguenza annunciata. Perché che si sia trattato di una rapina non ci sono dubbi: dalla casa sono pariti ventimila euro, tutti in banconote di piccolo taglio, custoditi nell’armadio.


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