Farmacia, tutti assolti |"Sentenza ingiusta" - Live Sicilia

Farmacia, tutti assolti |”Sentenza ingiusta”

E' arrivato il verdetto della terza sezione penale di Catania. IL RETTORE: "SOLLEVATI"  -  CANGEMI (PRC): "SOLIDALI CON LE FAMIGLIE"

CATANIA – “Laboratorio dei veleni”, il giorno del verdetto di primo grado. “Tutti assolti perché il fatto non sussiste”, con queste parole i giudici della terza sezione penale chiudono il processo di primo grado che vedeva imputati Antonino Domina, direttore amministrativo dell’Università di Catania, Lucio Mannino, dirigente dell’ufficio tecnico dell’Università, Marcello Bellia, Francesco Bonina, Fulvio La Pergola, Giovanni Puglisi, Giuseppe Ronsisvalle (Preside della facoltà di scienze farmaceutiche) e Franco Vittorio (direttore del dipartimento), In aula cala il silenzio. “Una sentenza ingiusta, sono senza parole”, dice la madre di una ex ricercatrice deceduta per tumore scansando i cronisti.

“Speravamo che qualcosa potesse cambiare nella nostra società, ma questa sentenza ci fa capire che niente mai cambierà…”. Così Maria Lopes, insegnante in pensione, mamma della specializzanda Agata Annino, morta a 30 anni per un tumore, commenta all’Ansa la sentenza. “Ci voleva la volontà di fare di cambiare le cose”, osserva la donna provata che col marito, l’ingegnere Olindo Annino, si erano costituiti parte civile. “Ci speravo – sottolinea – perché ho insegnato  ai miei ragazzi ad avere fiducia nelle Istituzioni. Adesso – visibilmente commossa – non ce l’ho più. E non vorrei dire queste cose…”. Ai cronisti che le chiedono se si aspettava questa sentenza Maria Lopes spiega che “no, certamente no”, ma che “lo temevo, che si potesse arrivare a questo, ma speravo sempre che giudici fossero…”. Per la madre della specializzanda morta mentre studiava nella facoltà di Farmacia di Catania la sentenza “moralmente è ingiusta: come si fa a separare l’inquinamento dalla morte di questi ragazzi…”.

Di segno opposto le prime dichiarazioni a caldo dell’avvocato Grasso, uno dei legali della difesa: “Siamo molto soddisfatti delle assoluzioni”. “Le ipotesi accusatorie non esistevano erano inesistenti, noi lo abbiamo dimostrato fin dal primo momento”, continua Grasso.

“Rifarei questa battaglia”, tuona uno dei legali delle parti civili Santi Terranova che attende comunque le “motivazioni della sentenza” e ribadisce la sua perplessità circa “il periodo bizzarro” (2004-2007) preso in esame nell’analisi processuale. L’avvocato si dice comunque “fiducioso” di “riaprire” il secondo filone del processo, quello per omicidio colposo.

L’ACCUSA. Era l’otto novembre del 2011 quando la magistratura pone i sigilli all’edifico 2 della cittadella universitaria. Un sequestro che equivale all’apertura di un vaso di Pandora che ha portato sul banco degli imputati otto pezzi da novanta del mondo accademico catanese. La pubblica accusa, sostenuta dal Sostituto Procuratore Giuseppe Sturiale, aveva richiesto pene che vanno dai 3 anni e 2 mesi ai 4 anni. I reati ipotizzati erano quelli di gestione di discarica abusiva, omissione di atti d’ufficio, falso ideologico in atto pubblico e disastro ambientale. Nello specifico l’accusa aveva chiesto quattro anni per Antonino Domina, direttore amministrativo dell’Università di Catania, e tre anni e otto mesi per Lucio Mannino, dirigente dell’ufficio tecnico dell’Università, per disastro ambientale colposo, omissione in atti d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico. Per Marcello Bellia, Francesco Bonina, Fulvio La Pergola, Giovanni Puglisi, Giuseppe Ronsisvalle (Preside della facoltà di scienze farmaceutiche) e Franco Vittorio (direttore del dipartimento), invece, il Sostituto Procuratore aveva richiesto una condanna di tre anni e due mesi per disastro ambientale colposo e omissione in atti d’ufficio. Durante la requisitoria Sturiale aveva richiesto l’assoluzione per avvenuta prescrizione per il reato pendente nei confronti di tutti gli imputati di gestione di discarica abusiva.

La sentenza di oggi chiude un capitolo: i giudici hanno disposto anche il dissequestro delle aree interessate all’inchiesta sui “laboratori dei veleni”. Gli imputati non avrebbero alcuna responsabilità nella presunta gestione irregolare dello smaltimento di sostanze chimiche nei lavandini dei laboratori del dipartimento. Una prassi iniziata più di quarant’anni fa secondo i legali delle parti civili che, però, in sede di analisi processuale è stata circoscritta dalla pubblica accusa a un lasso di tempo che va dal 2004 al 2007.  Il verdetto di oggi avrà un peso nell’altro filone di indagini (non ancora archiviate) per omicidio colposo.

Il legale della difesa Nicola Pietro Granata non ha mai avuto dubbi circa l’innocenza dei membri della commissione di sicurezza. “I miei assistiti hanno fatto il loro dovere, non c’è nessuna esposizione a nessun pericolo perché le indagini effettuate hanno dimostrato che il sottosuolo non è contaminato”, dichiara. “Non esiste alcun elemento che dimostri la contaminazione dell’acqua, dell’aria e del sottosuolo e in ogni caso i miei assistiti non c’entrano nulla perché sono docenti universitari che hanno vissuto esattamente lì per quarant’anni (sarebbero stati i più esposti) e non hanno compiuto nessuno dei reati di cui sono accusati”.

 


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