La 'fabbrica' di notizie - Live Sicilia

La ‘fabbrica’ di notizie

Il sistema va ripensato totalmente e secondo una logica nuova, superando la fase del rapporto tra giornalista che scrive e lettore che legge, perché la notizia è un processo aperto alla comunità.

Come nel resto del Paese, in Sicilia vi è una moltitudine di giornali concepiti per essere fruiti esclusivamente sul web, e questo anche grazie alle peculiari caratteristiche del quotidiano on-line, che i lettori trovano agevolmente su pc, tablet e smartphone. Difatti il giornale in rete, oltre che nel formato, si differenzia da quello pubblicato su supporto cartaceo perché espone le notizie con maggiore sinteticità e chiarezza e le aggiorna di continuo, rispondendo alla richiesta di informazione in tempo reale. Sul piano della diffusione, a decretarne il successo sono i numeri relativi alle “visite” al giornale ed alle singole notizie.

Le testate online si sono moltiplicate anche nella nostra Regione grazie alle modalità veloci di attivazione, ai costi contenuti, alle potenzialità di diffusione. I quotidiani web made in Sicily, pertanto, proliferano. Tra le maggiori testate registrate abbiamo Live Sicilia, che dall’inizio del 2014 si è confermato come il quotidiano più letto dell’Isola, registrando un aumento di visite, visitatori unici e pagine viste che ne attesta la leadership fra i giornali siciliani in rete e che continua, secondo i dati forniti da Google Analytics, a crescere di mese in mese.

Dalla fine del 2011, i quotidiani online sono peraltro in continuo incremento in tutto il Paese. La Federazione Italiana Editori Giornali ha reso noti i dati dello studio “La Stampa in Italia (2009-2011)”; in base ai valori forniti da Audiweb per il periodo di rilevazione, il numero dei lettori dei siti web dei quotidiani è in continua espansione, e supera i sei milioni di utenti medi al giorno. Nel settore dell’editoria e dei giornali, si segnala una flessione dei ricavi complessivi e, accanto alla diminuzione delle vendite dei giornali cartacei, un calo degli introiti pubblicitari. Invece i dati provenienti dai quotidiani online, e dal web in generale, si rivelano -in piena controtendenza- positivi nonostante la crisi.

Prendiamo in esame il giornalismo della carta stampata. Nell’ambito dei quotidiani storici pubblicati in Italia (ovviamente al passo coi tempi, tutti dotati di agguerritissimi siti web e versioni online), il Corriere della Sera è il più acquistato e si conferma in testa alla classifica delle vendite con 464.428 copie al giorno, seguito da Repubblica (primo per le vendite in edicola) con 382.233 e dal Sole 24 Ore con 315.521 copie. Questi dati sono stati forniti, alla fine dello scorso anno, da Accertamenti Diffusione Stampa (ADS), che ha preso in esame le vendite nei mesi di ottobre e novembre del 2013 per tracciare la mappa della diffusione di quotidiani e settimanali nelle edizioni sia cartacee sia digitali. Come si vede, i numeri sono lontani da quelli della fruizione online del settore informazione.

Un saggio di Lillo Montalto Monella, Real-Time Journalism. Il Futuro della Notizia tra Liveblog e Coinvolgimento (Informant 2013), pone vari quesiti sul futuro dello storytelling in tempo reale, trattando del liveblogging e dei suoi strumenti, e di temi giornalistici fondamentali, quali l’accuratezza e la verifica delle fonti e il coinvolgimento del lettore: quest’ultimo, va sottolineato, è la vera unità di misura del successo nel mondo digitale. Ma è proprio vero che ormai i giornali vanno “reinventati”? Quel che è certo è che tante testate stanno morendo, e negli Usa anche magazine importanti hanno iniziato a usare software per la composizione di articoli in tempo reale, tanto da far prevedere la scomparsa del mestiere del giornalista nel giro di dieci anni.

Richard Gingras, capo di Google News, il sito di notizie con più di un miliardo di lettori unici a settimana in 72 Paesi e in 45 lingue, considerato uno dei maggiori responsabili del declino della carta stampata, ha recentemente dichiarato che il presente dell’informazione è straordinario e il futuro lo sarà ancora di più: occorre solo saper guardare nella giusta direzione, perché non vi è mai stato nella storia un periodo così fertile di opportunità e di strumenti per i media. Gingras sostiene ottimisticamente che sebbene sia vero che si possano usare software per comporre notizie brevi, nessun computer può essere capace di raccontare una storia così come lo fa una persona. E finchè “raccontare il mondo” resta appannaggio della capacità, tutta umana, di cogliere cosa è interessante e cosa non lo è, i giornalisti possono tirare un respiro di sollievo.

Tuttavia, motori di ricerca, blog, social, sono in agguato, e le fonti di notizie appaiono moltiplicate in modo esponenziale. I siti di informazione, val la pena ricordarlo, mediante Google News ricevono 10 miliardi di visite al mese, e come diretta conseguenza molti giornali chiudono: sebbene da sempre siano uno strumento politico potente, tuttavia non sono mai stati un business fruttuoso. Gli organi tradizionali di informazione versano in una crisi senza pari. Figuriamoci nella patria della “editoria assistita”!

Meglio algidi “fabbricanti di notizie” che cronisti in carne e ossa? Qualcuno preconizza lugubremente da tempo che la carta morirà. Anzi, sta già succedendo. Il mondo dei media è così caotico che, addirittura, è ormai indistinto il confine tra giornalisti e lettori, non più due entità separate. A dirlo è Emily Bell, docente alla Columbia University di New York. Nel recente saggio ‘Post-industrial journalism: adapting to the present’, considerato ormai la Bibbia dell’informazione contemporanea, afferma che la sfida per il futuro è trovare modalità sostenibili di produzione delle notizie. Ad essere in crisi non è tanto il giornalismo in sé, quanto una delle modalità di fruirlo, ovvero la carta stampata, e l’integrazione fra la redazione del digitale e quella del cartaceo, che è la modalità che viene prevalentemente seguita in Italia, è sbagliata e inutile, in quanto troppo costosa e lenta. Il sistema va ripensato totalmente e secondo una logica nuova, superando la fase del rapporto tra giornalista che scrive e lettore che legge, perché la notizia è un processo aperto alla comunità. Secondo la Bell, difatti, Twitter è la più grande invenzione per il giornalismo dai tempi del telefono.

Mentre si percorre la strada dell’aggiornamento, ardua se si è privi di entusiasmo e flessibilità mentale, un sito di tendenza come Dagospia lancia un grido: ma quale morte della libertà di informazione! Se scompaiono i giornali di carta, si diffondono nuovi modelli di giornalismo. Giulia D’Agnolo Vallan racconta che è vero che diminuiscono le tirature, ma questo non significa che muoia il giornalismo. Negli Stati Uniti, ad esempio, “New York”, la rivista newyorkese cult, nel dimezzare le pubblicazioni, non ha annunciato licenziamenti bensì ulteriori assunzioni per incrementare la redazione del nuovo sito che, come quello del suo concorrente storico, “The New Yorker”, è attivissimo. E se l’estinzione degli organi di informazione cartacei appare progressiva e non reversibile, molti sintomi suggeriscono che, al contrario, il giornalismo non stia affatto andando incontro al declino: una notizia che ha fatto scalpore è quella che il fondatore di eBay, Pierre Omidyar, investirà 250 milioni di dollari in un sito di giornalismo investigativo, seguitissimo settore di tendenza.

Alla fine dello scorso anno, anche il “New York Times” ha lanciato un nuovo sito di giornalismo investigativo, Uncoverage.com, che permetterà a giornalisti e organizzazioni no profit di cercare fondi in crowdsourcing per consentire lo sviluppo di articoli e argomenti. Si tratta di un modello di finanziamento alternativo a quello delle inserzioni pubblicitarie che condizionano la sopravvivenza del giornalismo su carta stampata, che si attua facendo una sorta di “colletta” dei fondi per pagare i reportage a cui si intende lavorare. I soldi raccolti si suddividono fra i progetti dei vari redattori del sito. Uncoverage.com pubblicherà i report integrali, ma ciò non impedirà agli autori di vendere i loro articoli anche su altre piattaforme, rendendo così possibile una più ampia distribuzione.

Infine, a proposito di “fabbrica” di notizie: i cosiddetti big data ci possono dire tanto della realtà delle cose e con una precisione che non è mai esistita prima; vengono già ampiamente usati a fini commerciali; e se si adoperassero per raccontare storie ed eventi?

I giornalisti italiani sono, ovviamente, liberi di tenersi aristocraticamente distanti da contaminazioni digitali e a proclamarsi alieni da terreni che promettono sfide e regole nuove; ancora per poco, la barriera linguistica proteggerà l’Italia dalla spirale dei cambiamenti, ma verrà il momento in cui modelli economici di giornalismo più sostenibili, adottati all’estero, verranno importati stabilmente anche nel nostro Paese, che dovrà fare i conti con una resistenza al cambiamento (per molti concretizzatosi semplicemente nel fatto che prima scrivevano a macchina e ora lo fanno al computer), che impedisce di realizzare che il mondo dell’informazione, ci piaccia o no, si è trasformato a livello strutturale.

 


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