Di Giacomo vuota il sacco: |"Ho ucciso l'avvocato dei Puntina" - Live Sicilia

Di Giacomo vuota il sacco: |”Ho ucciso l’avvocato dei Puntina”

Il collaboratore di giustizia, ex reggente del Clan Laudani e mandante dell'omicidio di Serafino Famà, deve rispondere di cinque omicidi, tra cui quello del penalista Di Mauro ucciso nel 1993 insieme al suo segretario.

CATANIA – Parlava ancora al telefono quando i sicari lo crivellarono senza pietà nel suo studio in via Garibaldi al civico 190. L’avvocato Salvatore Di Mauro fu ammazzato con 7 colpi, di cui uno al cranio,  il 24 giugno 1993. A cadere con lui nell’agguato il suo segretario Francesco Borzì. “Era chiamato l’avvocato dei Puntina”, racconta alla magistratura, alla fine degli anni ’90, il pentito Alfio Giuffrida. Turi Di Mauro, altri non era che il nipote di Giuseppe “il patriarca”, capo della cosca dei Puntina. La sua “eliminazione” fu decisa nel corso di un summit: ad emettere la sua condanna a morte fu l’allora giovane capomafia dei Laudani, Pippo Di Giacomo. L’assassino degli avvocati. Non dimentichiamo che nella lista delle decine di omicidi ordinati dal boss dei “Musi i ficurinnia” c’è Serafino Famà, il penalista fu ammazzato il 9 novembre del 1995 al piazzale Sanzio.

E lo stesso Di Giacomo a vuotare il sacco, a raccontare la sua follia criminale che lo ha portato a soli 24 anni al comando dei Laudani, da killer senza scrupoli a mandante ancora più spietato. Perché dietro al delitto del penalista Di Mauro, “consigliere delle strategie dei Puntina”, di quella parte che era rimasta fedele al patriarca e che era in guerra con i Laudani, ci sarebbe una ritorsione per una lite in carcere. “Il motivo scatenante dell’omicidio fu un litigio che io ebbi durante la codetenzione con Turi Di Mauro – racconta Di Giacomo –  durante una detenzione al reparto del centro clinico di Pisa, questo litigio avvenne per futili motivi”.  Lo ammette lui stesso, “forse si poteva evitare”. Un colpo di testa, una vendetta di sangue.  “Questo è stato l’input – si legge nei verbali del pentito –  ma noi avevamo un conflitto con i Puntina”. Una faida che in pochi mesi popola di lapidi il cimitero di Catania. “Dei Puntina – racconta –  non abbiamo ucciso solo l’avvocato Di Mauro, c’è Paolo Di Mauro, lo abbiamo ucciso al Canalicchio, il patriarca, glielo feci uccidere io dal carcere”. Una sequela di nomi, un lunghissimo elenco macchiato di sangue.

Di Giacomo entra nei particolari dell’agguato. “L’omicidio di Di Mauro e del segretario fu commesso da me, Gino Di Bella e Salvatore Rapisarda (già deceduti ndr). Alle 16 altre persone, insieme ad Alfio Giuffrida, erano andate al suo studio per ammazzarlo ma non commisero il delitto perché l’avvocato non era nello studio”.  Si erano presentati come clienti e il segretario aveva aperto. Un escamotage consigliato da Di Giacomo visto che nel sopralluogo i sicari avevano notato la presenza di una telecamera. L’omicidio fu solo rimandato di qualche ora. Alle 21 Di Giacomo, Di Bella e Rapisarda suonano al citofono del civico 190, l’avvocato non sa che sta aprendo ai suoi assassini. “A sparare fu unicamente il Di Bella con una pistola che non era mai stata usata per altri omicidi, si trattava di una pistola calibro 9. Ricordo che durante la fuga – continua – notammo la presenza di una pattuglia della polizia che era presente sul posto per altri fatti. La calibro 9 fu distrutta”.

Giuseppe Di Giacomo, per il duplice delitto, sarà giudicato con il rito abbreviato. Per l’accusa il killer dei Laudani, oggi collaboratore di giustizia, nell’agguato contro l’avvocato dei Puntina ha agito “con l’aggravante della premeditazione ed ha commesso il fatto al fine abietto di assicurare all’organizzazione il predominio sulle attività illecite a Catania e nella provincia”.

Nel processo, che si celebra con il rito abbreviato, si discuterà di cinque omicidi avvenuti tra il 1984 e il 1993, decennio dove a Catania si stava consumando una cruenta faida tra clan rivali. Al banco degli imputati saliranno i presunti mandati ed esecutori di  Alfio Gambero, ucciso a Pedara nel 1984, di Salvatore Gritti, freddato nel suo garage a Carlentini nella primavera del 1991, di Giovanni Piacente morto sotto diversi colpi di fucile davanti al casello autostradale di Giarre nel ’93, e infine  Domenico Peluso e Camillo Caruso ritrovati nel 1993, a San Giorgio, nel bagaglio di una fiat Punto. I cinque delitti furono risolti lo scorso dicembre, quando i carabinieri eseguirono un’ordinanza emessa dal Gip dopo una delicata indagine condotta sotto il coordinamento della Dda di Catania.

Alla sbarra anche un altro collaboratore di giustizia, Alfio Giuffrida, quello che ha dato una svolta alle indagini sull’omicidio di Serafino Famà. Fu lui a indicare Di Giacomo come il mandante.  A completare la quaterna di imputati sono altri due nomi di vertice dei Musi I Ficurinia, Alfio Laudani e Camillo Fichera.  “I quattro – è scritto nella richiesta di rinvio a Giudizio –  si trovano nelle condizioni per essere dichiarati delinquenti professionali”.

 


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