Il "monaco" e i prestiti ad usura| Condannato a dieci anni - Live Sicilia

Il “monaco” e i prestiti ad usura| Condannato a dieci anni

Il Palazzo di giustizia di Palermo

Quando lo arrestarono, Francesco Abbate, 59 anni, aveva la casa tappezzata di immagini sacre, statue e altari. È un devoto della madonna. Di mestiere, però, secondo i finanzieri, avrebbe fatto l'usuraio. Gli è stato sequestrato un patrimonio da venti milioni di euro.

PALERMO – Lo chiamano “il monaco”. Un soprannome nato dal suo rapporto viscerale con la fede. Quando lo arrestarono Francesco Abbate, 59 anni, aveva la casa tappezzata di immagini sacre, statue, altari. È un devoto della madonna. Di mestiere, però, secondo i finanzieri, avrebbe fatto l’usuraio. Oggi è stato condannato a dieci anni di carcere.

Assieme a Gaspare Delia, 29 anni, che decise di uscire dall’inchiesta con un patteggiamento, avrebbe accumulato un patrimonio da 20 milioni di euro prestando denaro a tassi di interesse esorbitanti, tra il 120% ed il 300% annuo. Entrambi furono arrestati nel marzo 2013. Ora sono liberi. Formalmente risultavano residenti in via Napoli, a Palermo, ma abitavano a Balestrate. Tra le loro vittime ci sarebbero stati imprenditori, piccoli artigiani e commercianti, ma anche casalinghe e pensionati, di Palermo e Trapani.

Contestualmente alla misura cautelare il giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa, a conclusione delle indagini dei finanzieri, gli sequestrò un elenco sterminato di beni: conti correnti, libretti di risparmio, fondi comuni di investimento, titoli di Stato, quote societarie e 60 immobili. Si trattava di appartamenti, ville, garage, locali commerciali a Balestrate in contrada Forgia nelle vie Galileo Galilei, IV novembre, Paolo Paternostro, Paolino Gesù Grande e Montegrappa. A Palermo le proprietà si trovavano nelle vie Altarello, in cortile San Giuseppe, in via Venezia e a Baida. Nell’elenco dei sessanta immobili c’erano pure un appartamento a Milano in viale Monza, uno ad Altavilla Milicia in contrada Aci e uno a Partinico in via Fonte Merilli.

A nulla, dissero i finanzieri, sarebbe servito lo stratagemma per evitare che sul suo patrimonio si abbattesse la scure del sequestro. Abbate avrebbe cercato di disfarsi formalmente di parte del patrimonio personale trasferendolo ai figli. Un mega patrimonio nonostante negli ultimi vent’anni avesse dichiarato redditi ai limiti della sopravvivenza e persino perdite derivanti da un negozio di ceramiche.

A rivolgersi al presunto usuraio sarebbe stata gente disperata. Attanagliata dalla crisi economica e a cui veniva negato l’accesso legale al credito. Con gli usurai sembrava tutto più facile. Sembrava appunto, perché piccoli prestiti diventavano voragini impossibili da coprire. Chi non pagava non sarebbe stato minacciato, ma gli si chiedeva a garanzia del prestito l’ipoteca su una casa. Non saldare il debito avrebbe comportato la rinuncia automatica alla proprietà dell’immobile. Una tecnica che avrebbe riguardato le “pratiche” più onerose. Sono una trentina le vittime tutte costituite parte civile nel processo. I prestiti andavano da duemila a 120 mila euro. Nessun commento dalla difesa che si limita a preannunciare ricorso in appello.


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