"Soldi spesi regolarmente" | Addaura Reef, assolti i titolari - Live Sicilia

“Soldi spesi regolarmente” | Addaura Reef, assolti i titolari

Lo stabilimento Addaura Reef ormai chiuso

Cinque mesi dopo la sentenza penale che li aveva dichiarati colpevoli, davanti ai giudici contabili crolla l'impianto accusatorio contestato a Daniele Di Gregoli e Corrado Caronna, titolari di quello che era uno dei più noti stabilimenti balneari e locali notturni di Palermo.

PALERMO - CORTE DEI CONTI
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PALERMO – Condannati dal Tribunale, ma assolti dalla Corte dei Conti. Cinque mesi dopo la sentenza penale che li aveva dichiarati colpevoli, davanti ai giudici contabili crolla l’impianto accusatorio. Daniele Di Gregoli e Corrado Caronna, titolari della società Calanica che gestiva il lido balneare Addaura Reef, sono stati assolti dall’accusa di avere provocato un danno erariale di 228 mila euro. A tanto ammontava il finanziamento ottenuto dalla Regione siciliana.

Davanti alla quinta sezione del Tribunale, nel luglio scorso, per i due imputati aveva retto l’ipotesi di truffa, era caduto il reato di false fatturazioni ed era andato prescritto, invece, quello di abuso d’ufficio contestato in concorso con alcuni burocrati comunali. E arrivò una condanna ad un anno e mezzo ciascuno di carcere.

L’inchiesta partì da un esposto anonimo. Alla fine delle indagini, secondo la Procura, sarebbe emerso che il Comune assegnò alla Calanica la concessione dell’area demaniale senza gara pubblica. Inoltre, sempre secondo l’accusa, Di Gregoli e Caronna avrebbero usato per fini propri e non per la bonifica delle coste i 228 mila euro avuti dai fondi Por regionali.

Ed era proprio su questa seconda ipotesi che si incentrava il processo davanti alla Corte dei Conti. Il collegio presieduto da Luciana Savagnone motiva l’assoluzione scrivendo che “dalla documentazione non si rinvengono elementi atti a sostenere la responsabilità per danno erariale dei soggetti convenuti per sviamento delle risorse pubbliche dalle finalità dell’investimento programmato”. I giudici contabili concludono che “lo scopo per il quale il finanziamento era stato concesso è stato conseguito, avendo la società Calanica provveduto a realizzare e mettere in funzione lo stabilimento balneare”.

A Di Gregoli e Caronna, assistiti dall’avvocato Carmela Puzzo, veniva contestato anche di non avere rispettato l’impegno per la “decementificazione” della zona. Sul punto i giudici scrivono che gli obblighi di “rinaturalizzazione non facevano parte del progetto per cui è stata concessa la sovvenzione”. Non solo: “Va considerato che la materiale attività di decementifazione non era comunque possibile essendo condizionata alla preliminare stesura di un apposito progetto da parte del Comune di Palermo, oggetto di successiva approvazione della Regione Siciliana”.

Sul punto era stata molto accorata l’arringa in sede penale dell’avvocato Sal Mormino (è già stato presentato ricorso in appello contro la condanna): “Si contesta agli imputati di non avere rispettato l’impegno per la decementificazione della zona – spiegò il legale -. Ebbene l’impegno è stato preso con un apposita convenzione. È stata la Regione a dire che non si poteva fare, come ha spiegato in aula il responsabile del Demanio. E lo conferma l’esistenza di una nota. Il pm nulla dice sulla nota perché altrimenti avrebbe dovuto ammettere che i lavori non sono stati fatti non per responsabilità della Calanica. Ecco perché il pubblico ministero è stato depistato, portato fuori strada dai consulenti. Il risultato è che un’area restituita ai cittadini è tornata ad essere un immondezzaio”.

Ancora, in sede contabile, ai due imprenditori citati in giudizio veniva contestato di avere violato la destinazione d’uso dei beni comprati con i soldi della Regione. In particolare, nel 2009, lettini e sdraio con il logo Addaura reef furono utilizzati al Circolo del tennis 2 di Palermo. Tutto regolare dicono i giudici contabili, citando la convenzione che era stata stipulata e che “aveva un evidente scopo pubblicitario”.

Ed infine, secondo i pm contabili, Di Gregoli e Caronna avevano completato alcune opere fuori dal termine previsto dal decreto di finanziamento. In particolare, la stesura del prato e l’installazione di due piscine che, però, furono ritardate da “esigenze di carattere climatico e dipendenti dalle caratteristiche tecniche dei luoghi”.

Incassato il successo in sede contabile, la battaglia giudiziaria si sposta in sede penale. L’appello non è stato ancora fissato.

 


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