Cocaina dalla Calabria a Catania |17 trafficanti rischiano il processo - Live Sicilia

Cocaina dalla Calabria a Catania |17 trafficanti rischiano il processo

Chiuse le indagini dell'inchiesta Bitter Fruit: la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli indagati arrestati dalla Squadra Mobile lo scorso aprile. Il meeting point per i fornitori calabresi era un chiosco di frutta a Galermo. Ma la rotta della droga passava anche da Roma.

CATANIA – Appuntamento al bar vicino al Grand Hotel di Roma. L’albergo a cinque stelle altro non è che il carcere di Rebibbia: negli ambienti della malavita la prigione della capitale è chiamata così. In quel caffè tra il 2010 e 2011 si pianificavano – secondo la Procura etnea – i carici di droga dalla Calabria a Catania. Le menti criminali sarebbero Giovanni “Johnny” Mirabella e Tommaso Ubertino, arrestati ad aprile dalla Squadra Mobile insieme ad altre 15 persone nell’operazione “Bitter Fruit”.

Chiuse le indagini sono scattate le richieste di rinvio a giudizio al Gip per i diciassette presunti trafficanti, l’udienza preliminare si terrà all’inizio del prossimo anno. Rischiano il processo Giovanni Mirabella, 34 anni; Francesco Bandieramonte, 33 anni, Alfio Barbagallo, 55 anni, Antonino Capilli, 53 anni, Pasquale Catanzariti, 28 anni; Fabio Furnari, 24 anni, Luciano Francesco Iannuzzi, 53 anni, Claudio Ioppolo, 32 anni, Cristian Bruno Lo Faro, 30 anni; Giovanni Marano, 36 anni; Salvatore Raciti, 45 anni; Danilo Saitta, 28 anni, Claudio Giuseppe Scalia, 25 anni, Carmelo Scilio, 40 anni, Vittorio Spampinato, 38 anni, Alfredo Titola, 30 anni. (LE FOTO) Chiesto il rinvio a giudizio dalla Dda di Catania anche per Tommaso Ubertino, arrestato a Roma, il giorno dopo il blitz.

Il nome della retata (Bitter Fruit) era stato ispirato dal chiosco di frutta gestito da Giovanni Marano, luogo deputato – dalle ricostruzioni investigative –  agli incontri con i trafficanti calabresi. Era una sorta di “meeting point” dove organizzare il trasporto e l’arrivo della cocaina a Catania: stupefacente che sarebbe poi servito a rifornire le piazze di spaccio della città, gestite da diversi gruppi criminali. Il nodo logistico sarebbe stato gestito direttamente da Roma. L’asse dunque Locride – Catania passava anche dalla capitale a livello organizzativo soprattutto.

L’organizzazione scoperchiata dalla Squadra Mobile, con il coordinamento della Dda guidata da Giovanni Salvi, sarebbe ben gerarchizzata con capi e subordinati. Al vertice della piramide Giovanni Mirabella, con il suo bracciodestro Luciano Francesco Iannuzzi e Francesco Titola. Quest’ultimo avrebbe anche il ruolo di gestore della domanda di droga da parte degli spacciatori e inoltre di esattore del gruppo, a lui infatti pervenivano i pagamenti. Ad aiutarlo in questo ruolo di “cerniera” c’era Fabio Furnari. All’ultimo gradino operavano i corrieri e i pusher.  Dalle indagini, supportate anche da intercettazioni ambientali, emerge come l’attività di spaccio era solo marginale all’interno dell’organizzazione: Mirabella e i suoi erano i fornitori per le varie piazze dello spaccio catanese. Le cimici registrano i presunti trafficanti pianificare la propria attività illecita.

La droga proveniva dalla Calabria. In particolare i rapporti erano con le ‘ndrine della Locride e soprattutto della zona di San Luca e Platì, dove risiede Catanzariti, uno dei corrieri insieme ad un altro indagato Francesco Mediatì, arrestato durante un sequestro di droga al casello di San Gregorio nel 2011. Fu beccato con oltre 2 chili di cocaina. Nel 2010 era stato arrestato anche Claudio Giuseppe Scalia. Nel suo appartamento la polizia aveva trovato oltre un chilo e mezzo di cocaina e quasi duecento grammi di marijuana.

Al riesame il nucleo centrale dell’ordinanza disposta dal Gip ed eseguita dalla Squadra Mobile aveva retto. Il Tribunale della Libertà aveva confermato la custodia cautelare in carcere per Mirabella, Barbagallo, Furnari, Titola e Iannuzzi. A “bliandare” la posizione di quest’ultimo, ritenuto il cassiere del gruppo, anche il fatto che nel corso del blitz la Mobile aveva trovato a casa sua 5 mila euro in contanti, ritenuti provento del traffico di cocaina. Per Raciti i giudici della Libertà aveva riformulato la misura con gli arresti domiciliari, mentre erano state annullate per Bandieramonte, Capilli, Ioppolo, Lo Faro, Marano, Saitta, Scalia, Scilio, Spampinato e Ubertino.

Non è contestato il reato associativo di tipo mafioso. Dalle indagini non è emerso che l’attività fosse legata ad alcun clan della criminalità organizzata locale. Un particolare porta però a pensare a rapporti di “vicinanza” con la cosca dei Cappello Carateddi. Nel corso del blitz di aprile, la polizia a casa di Iannuzzi aveva trovato un articolo di giornale che parlava dell’arresto nel 2010 di Alessandro Bonaccorsi, già condannato in primo grado a 20 anni proprio per associazione al clan Cappello e traffico di droga.


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