Il pizzo spacca l'Antimafia | Il silenzio dei commercianti - Live Sicilia

Il pizzo spacca l’Antimafia | Il silenzio dei commercianti

Roberto Helg, presidente di Confcommercio, polemizza con Giuseppe Todaro, vice presidente di Confindustria Palermo. Nel frattempo dalle indagini emerge uno spaccato desolante di mancata collaborazione da parte di alcuni negozianti del salotto buono della città.

 

MAFIA ED ESTORSIONI
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PALERMO – Via Isidoro La Lumia. Qualcuno, due settimane fa, ha bloccato con l’attak i lucchetti di un ristorante. Così, giusto per ricordare, qualora ce ne fossimo dimenticati, che le festività natalizie sono giorni di spiritualità, gioia e consumi, ma anche di raccolta del pizzo come tradizione di Cosa nostra vuole.

I titolari della steak house “Zangaloro meat factory” hanno affidato la loro amara riflessione alla bacheca di Facebook, definendo l’episodio “uno dei tanti motivi per cui in questa città è impossibile fare imprenditoria”. Poi, hanno rimosso la colla e accolto i clienti come ogni giorno. Vanno avanti senza esitazione alcuna e restando fermamente convinti della loro adesione al movimento antiracket di Addiopizzo, in particolare, e al fronte antimafia in generale.

Un fronte dove si consuma, proprio in questi giorni, l’ennesima spaccatura. E stavolta la faccenda è più seria del solito. Perché non si “affrontano” i professionisti o gli ideologi dell’antimafiosità, ma i rappresentanti delle categorie che il pizzo lo subiscono, lo pagano e, a volte, riescono a combatterlo. Un autorevole rappresentante di Confindustria e il presidente dei commercianti palermitani l’un contro l’altro armati. Una dichiarazione del primo, Giuseppe Todaro, ha scatenato l’indignazione del secondo, Roberto Helg.

“Non vorrei generalizzare, ma nel centro della città, nel salotto della ‘Palermo bene’ – ha dichiarato Todaro, vice presidente degli industriali palermitani, da anni sotto scorta dopo le sue denunce, in un’intervista rilasciata ad un quotidiano – mancano le denunce. Quando arrestarono quattro boss e si scoprì che avevano una lista di 20 notissimi commercianti con delle cifre scritte accanto, soltanto una delle 20 vittime ammise di avere pagato. Uno su 20. Appunto, il 90 per cento…”.

Apriti cielo: “Non abbiamo nulla contro Confindustria – ha risposto Helg, nella doppia veste di presidente di Confcommercio e Camera di commercio – ma da Todaro pretendiamo una smentita perché così si infanga un’intera categoria. Da dove arrivano questi dati? Datemi l’elenco che li chiamo a uno a uno, li accompagno alla polizia, li porto dai magistrati. Per approfondire. E se dovessero risultare reticenti li sospendo. Ma sparare cifre, anziché nomi e cognomi, è una cosa che non accetto”.

Analizzando la sintassi delle parole che si sono scambiati a mezzo stampa forse hanno entrambi ragione. Non ci si può limitare alla sintassi, però. La cronaca impone una riflessione che vada oltre le parole. La storia della mafia degli ultimi anni ci ha insegnato che Natale e Pasqua sono i periodi dell’anno in cui si concentra la raccolta delle estorsioni. È ipotizzabile che la mafia, seppure indebolita dagli arresti, non stia provando a fare cassa? La risposta arriva dall’episodio della steak house “Zangaloro meat factory”.

La divisione territoriale vuole che a contendersi il salotto della città siano i clan di Resuttana fino a piazza Castelnuovo e da lì in poi, in direzione via Maqueda, quelli di Porta Nuova. Nel febbraio 2014, due mesi dopo le festività natalizie dell’anno scorso, i poliziotti fermarono quattro picciotti in piazza Alberigo Gentili. È l’episodio a cui fa riferimento Todaro. Uno di loro aveva addosso un pizzino con i nomi di venti commercianti del centro – alcuni molto noti – con negozi fra piazza Castelnuovo, via Ruggero Settimo, via principe di Belmonte e piazza Verdi. Siamo in pieno mandamento di Porta Nuova. A fianco dei nomi ecco le cifre e la lettera “P”. Gli investigatori non hanno dubbi: P sta per pizzo pagato.

E così i carabinieri hanno convocato nei mesi scorsi i venti commercianti, alcuni già venuti fuori nelle indagini giudiziarie. E qui si innesta il vero nocciolo della questione. Generalizzare non è corretto, ma il campione dell’analisi fornisce un dato disarmante: la collaborazione è inesistente. E quando c’è risulta imbarazzante. Le audizioni si sono divise fra coloro che cadono dalle nuvole e coloro che ammettono di pagare il pizzo. Lo fanno da anni, ma non conoscono o non ricordano l’identità degli uomini a cui hanno consegnato i soldi per la messa a posto. Risultato: il biglietto poteva provocare un terremoto giudiziario ed invece, a distanza di dieci mesi dal ritrovamento, nulla è accaduto sul fronte giudiziario.

Peccato, si è persa una buona occasione per agevolare e accelerare il lavoro degli investigatori. Tra i il 2013 e il 2014 i carabinieri hanno azzerato i vertici del mandamento di Porta Nuova e arrestato la scalata di Alessandro D’Ambrogio che era diventato uno dei signori dell’intera città. Hanno dovuto concentrare gli sforzi per sventare una guerra di mafia che rischiava di provocare diverse vittime. Un morto, però, Giuseppe Di Giacomo, è rimasto sul campo. Indagini complesse dalle quali, almeno in questa fase, sono rimaste fuori le estorsione. Non c’è traccia del pizzo, se non episodi isolati, nelle recenti carte giudiziarie.

Possibile che a Porta Nuova il pizzo non si paghi? La risposta degli inquirenti, senza alcuna esitazione, è negativa e muove dalla lista dei venti commercianti che pagano ma negano, oppure lo ammettono con ricostruzioni inverosimili. La strada della svolta culturale, al netto delle parole e delle polemiche a mezzo stampa, resta lontana. Nonostante gli sforzi e i successi di questi anni, il pizzo continuano a pagarlo in tanti.


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