Perchè Crocetta non è adatto | a guidare la Sicilia - Live Sicilia

Perchè Crocetta non è adatto | a guidare la Sicilia

La copertina dell'Economist del 2001 su Silvio Berlusconi "inadatto a guidare l'Italia"

Tra i consunti riti dei vertici di coalizione e i capitomboli in Aula, la maggioranza aspetta ancora un cambio di passo senza accorgersi che la strada sta finendo. Ma forse è ora di smettere di girare attorno al problema. E ammettere ciò che tutti, alleati inclusi, da un pezzo hanno ben chiaro: quest'esperienza di governo è fallita.

L'editoriale
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5 min di lettura

A leggere le cronache politiche degli ultimi giorni torna in mente eccome quella famosa copertina. Era il 2001 e The Economist schiaffò Silvio Berlusconi in prima pagina con quell’ormai celeberrimo titolo: perché quest’uomo è inadatto a guidare l’Italia. Con tutte le proporzioni (e le differenze) del caso, oggi di fronte al penoso strazio della Regione siciliana, quel giudizio sembra calzare a pennello al protagonista di questa pièce, che si muove tra i toni della farsa, gli svolazzi dell’operetta e la sostanza della tragedia. Rosario Crocetta “unfit to lead”, inadatto a guidare la Sicilia. È forse sgradevole dirlo in questi termini, ma lo è ancora di più girarci ancora attorno. E imporre ai siciliani lo spettacolo irritante, l’ennesimo rito del vertice di maggioranza, in cui protagonisti e comprimari del disastro siciliano giocano la propria parte in commedia parlandosi addosso senza che nulla cambi al termine del teatrino. Per poi andare sotto in Aula un paio d’ore dopo.

Di vertice in vertice, un’intera classe politica si è accartocciata da mesi su se stessa, mentre tutto fuori dal palazzo crollava pezzo dopo pezzo: formazione, partecipate, beni culturali, attività produttive, un’apocalisse senza fine. Nel frattempo, ogni vertice era quello buono – assicuravano dal Palazzo – per il decisivo cambio di passo. Fino ad arrivare all’altroieri: un altro summit tra alleati e una manciata di ore dopo la rovinosa caduta del governo in Aula all’Ars, battuto sul mutuo. Che è poi tornato in pista ieri per essere approvato  in fretta e furia. Il tutto ancora aspettando il fantomatico cambio di passo, nuovamente evocato anche dal segretario del Pd Fausto Raciti, senza che ci si accorga che la strada è ormai quasi finita.

Non si vuole qui personalizzare il disastro di bibliche proporzioni che Accursio Sabella ha radiografato in ordine alfabetico. Ma se il concetto di responsabilità trova ancora cittadinanza in questa malconcia e poco credibile politica, è innegabile che le responsabilità maggiori alberghino lì dove siede colui che è chiamato a governare. E cioè dove siede, eletto da una minoranza in forza di un’irripetibile congiuntura astrale, Rosario Crocetta.

Sia chiaro: la Sicilia si dimena e affonda nelle sabbie mobili di un pantano figlio di decenni di scelte scellerate, consumate tra Palermo e Roma. Di problemi che hanno radici lunghissime in anni di irresponsabile clientelismo e assistenzialismo. Ma sarebbe cieco oggi ostinarsi a negare che quello che doveva rappresentare la soluzione ai problemi, si è rivelato essere un problema in più, se non addirittura “il” problema, in questa delicatissima, e tragica, fase della storia della Sicilia.

Inadatto. “Unfit”, dicono gli anglosassoni, usando la stessa espressione che utilizzano per gli abiti che proprio non ti calzano. Non è pregiudizio sulla persona, ma un giudizio su un’esperienza di governo maturato in più di due anni di legislatura. Due anni buttati al vento, trascorsi a rampognare, sdottorare e disquisire del nulla mentre la Sicilia colava a picco. Senza un governo in grado di invertire la rotta. Si è tentato? Forse, ma l’impresa è fallita. E dire che di governi ne abbiamo visti ben tre, con la bellezza di trentaquattro assessori in un paio d’anni: un valzer continuo e indecente, anzi, una contradanza paesana, scrivemmo qualche settimana fa. Che ha coinvolto anche dirigenti generali e posti di sottogoverno nella grande abbuffata di nomine che resta una delle cifre politiche dell’esperienza governativa targata Crocetta. Questa e la sua furia palingenetica, la foga rivoluzionaria del far tabula rasa di ciò che c’era prima. Senza riuscire però a rimpiazzarlo con qualcosa di sensato. Il copione è stato lo stesso, dall’ufficio stampa alle province: la provvisorietà della vacatio s’è fatta regola

Il risultato è il caos che è sotto gli occhi di tutti. Proprio tutti. Lo ha visto il governo nazionale, che ha cercato di mettere sotto tutela Palazzo d’Orleans. Lo ha visto l’Ars, immobile da mesi nella sua aurea inutilità, affollata da inquilini che spesso danno l’impressione di essere interessati solo al mantenimento dello status quo, nell’illusoria speranza di perpetuare negli anni un sistema di consenso ormai insostenibile. Lo hanno visto i partiti della maggioranza (in primis il suo, che guarda caso fu l’ultimo a convincersi di candidarlo), che da mesi inseguono l’ingestibile governatore, reclamando vertici e confronti e ottenendo strapuntini in uffici di gabinetto. Lo hanno visto le parti sociali, inascoltate e deluse, anche quelle che benedissero l’escalation improvvisa del rivoluzionario col megafono e dei suoi influenti consiglieri del cerchio magico.

Mesi fa definimmo il suo “il governo del boh”, per metterne in evidenza le contraddizioni, la confusione e le posizioni ondivaghe e spiazzanti. L’ultima piroetta è stata quella ammiccante assunta in contrapposizione al rigore inevitabile propugnato dall’emissario di Roma in giunta. Quanto è accaduto nei mesi successivi a quell’articolo ha amplificato questa sensazione. È il caos l’essenza stessa del governo Crocetta. Il caos plasticamente raffigurato da quegli indimenticabili, surreali monologhi sul suo stipendio, non diversi da altre claudicanti pubbliche orazioni in cui le lire diventavano euro, i miliardi milioni, i mesi giorni e via discorrendo.

La Sicilia si avvia al capolinea, vinta dal peso di un’infinita serie di oltraggi, consumati nel tempo, che non sono certo imputabili all’inquilino pro tempore di Palazzo d’Orleans. Ma la fotografia di questi giorni mostra nitidamente che i governi dalle porte girevoli di Rosario Crocetta, privi di un disegno e di una visione che vada oltre il tragitto tra Palazzo d’Orleans e la procura (magari per un buco nell’acqua come quello della famosa piscina), non sono lo strumento adatto per fronteggiare la titanica sfida. A meno che non si voglia tirare a campare di mutuo in mutuo, sobbarcando le ormai sfiancate spalle dei siciliani di altri insopportabili carichi. È chiaro come il sole e non ci vuole l’Economist per rendersene conto. Basterebbe un po’ di buon senso.


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