Dopo Napolitano, può toccare a Mattarella | Se un processo diventa mediatico - Live Sicilia

Dopo Napolitano, può toccare a Mattarella | Se un processo diventa mediatico

Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella

All'orizzonte si prospetta un clamoroso bis al processo sulla trattativa Stato-mafia. Di nuovo, un capo dello Stato potrebbe salire sul banco dei testimoni. La domanda delle domande si ripresenta: serve davvero la deposizione del presidente? Di certo ne godrà l'appeal mediatico del processo, il cui interesse langue da un po'.

PALERMO – La lista dei testimoni è stata stilata e ammessa più di un anno fa. Quando Sergio Mattarella era “soltanto” un giudice della Corte costituzionale. Nel frattempo le cose sono parecchio cambiate.

All’orizzonte si prospetta un clamoroso bis al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Dopo Giorgio Napolitano, ascoltato a fine ottobre, di nuovo un capo dello Stato potrebbe salire sul banco dei testimoni. Il neo presidente della Repubblica Mattarella è stato citato dai difensori di Nicola Mancino. La lista dei testimoni è già stata ammessa dal presidente della Corte d’assise. Ora tutto dipende dall’imputato e dai suoi legali, gli avvocati Massimo Krogh e Nicoletta Piergentili. Solo loro possono “rinunciare” al testimone. Bisogna capire quanto la difesa riterrà fondamentale rivolgere al neo capo dello Stato le domande previste dal capitolato: “Chiarire la linea adottata dalla Democrazia Cristiana nei confronti della criminalità organizzata negli anni caldi delle stragi”. Il 28 giugno del 1992 la Dc indicò Nicola Mancino al posto di Vincenzo Scotti al ministero dell’Interno. Logiche di partito – come ritiene la difesa -, oppure – come sostiene l’accusa -, la Dc volle sbarazzarsi di Scotti, mandato agli Esteri, perché considerato troppo duro nella lotta a Cosa Nostra?

“Non mi sembra il caso di fare dichiarazioni sui nostri testi – ha detto nei giorni scorsi l’avvocato Piergentili -. Al momento in aula vengono escussi i testi dell’accusa, e ci vorranno parecchie settimane prima di passare a quelli delle difese”. Dobbiamo rassegnarci all’idea, dunque, che se deposizione ci sarà lo sapremo fra un po’. Insomma, ci sarà tutto il tempo per prepararsi ad un trasfertone romano analogo a quello che a fine ottobre, nel caso di Napolitano, vide spostarsi la Corte e i giudici popolari, i pm (l’aggiunto Vittorio Teresi, i sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, per l’occasione accompagnati da Leonardo Agueci, allora facente funzione di capo della Procura) e tutti gli avvocati. A Roma si radunarono decine e decine di giornalisti e inviati delle testate di mezzo mondo, rimasti fuori per scelta del Colle dalla sala del palazzo del Quirinale adibita ad aula. Alla fine della deposizione, c’era da aspettarselo, erano tutti contenti.

Soddisfatta l’accusa, secondo cui la testimonianza era stata utile. Anzi utilissima: “Napolitano ha detto che subito dopo le stragi di Roma, Firenze e Milano del ’93 tutte le più alte istituzioni hanno capito che era la prosecuzione del piano stragista di Cosa nostra che tendeva a ottenere un aut aut, o si ottenevano benefici di natura penitenziaria per l’organizzazione o ci sarebbero state finalità destabilizzanti”. Insomma, una deposizione in linea con il cuore della ricostruzione della Procura. Contenti pure i difensori degli imputati, pronti a citare, quale vessillo di soddisfazione, la risposta di Napolitano – “Non me ne parlò” – alla domanda sugli “indicibili accordi” citati nella drammatica lettera con cui l’’ex consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, a giugno del 2012, rassegnò le dimissioni dopo la campagna di stampa seguita alla diffusione delle sue intercettazioni con l’ex ministro Mancino.

La domanda delle domande si ripresenta: serve davvero la deposizione del nuovo capo dello Stato? Risposta complicata, a meno che non ci si voglia avventurare in temi delicati come il diritto alla difesa. Di certo, però, e si può correre il rischio di sbilanciarsi, ne godrà l’appeal mediatico del processo, il cui interesse, a giudicare dalle recenti cronache giudiziarie, langue da un po’. Da quando, cioè, toccò a Napolitano salire sul banco dei testimoni. L’ultima deposizione “illustre” al processo, quella dell’ex segretario della Democrazia Cristiana, Arnaldo Forlani è passata quasi inosservata sui media. Oggi novantenne, Forlani è da troppo tempo lontano dalla politica attiva per scaldare con i suoi antichi ricordi il cuore dei cronisti e dei lettori. Mattarella, seppure “grigio” come in molti si sono affrettati a definirlo, “tirerebbe” molto ma molto di più. Non c’è che aspettare pazienti. Quanto? Forse tanto, a giudicare dai numeri. Finora è stata sentita una sessantina dei 178 testimoni citati dalla pubblica accusa. Ultimati questi, bisogna sperare che Mattarella sia uno dei primi dei sessanta circa citati dalle difese. Poi, sarà di nuovo ribalta mediatica. Sempreché la difesa di Nicola Mancino non decida di rinunciare alla testimonianza.

 


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