Quel silenzio sbagliato sull'Isis - Live Sicilia

Quel silenzio sbagliato sull’Isis

Riceviamo e pubblichiamo un intervento del senatore del Pd sulla situazione libica in risposta all'articolo pubblicato l'altroieri da Livesicilia. "L'Isis è un problema serissimo, sottovalutarlo è da irresponsabili, ancora peggio è ignorarlo"

La Libia è a due passi dalla Sicilia, ma è ancora lontana dal pensare e dall’agire della nostra classe dirigente. Ecco perché ho apprezzato la riflessione fatta su LiveSicilia, su quella che tutti dobbiamo considerare una vera e propria minaccia. Sì, l’Isis è un problema serissimo, sottovalutarlo è da irresponsabili, ancora peggio è ignorarlo, come se fossimo avulsi dalla realtà.

Anch’io comincio a provare un certo fastidio nel pronunciare le parole retoriche “Sicilia cuore del Mediterraneo”. Un’espressione ormai da convegno, che non è mai stata seguita da una politica capace di affrontare ciò che succede in Egitto, in Libano, in Tunisia, in Giordania, in Siria, in Iraq, nel Kurdistan, non dimenticando gli Stati di Israele e della Palestina, ma soprattutto quello che oggi succede in Libia.

Insomma, sembra che questa drammatica sfida non ci appartenga.

Agire locale e pensare globale deve essere il dna di una buona classe dirigente. Al di là delle appartenenze e delle convenienze politiche.

Riepiloghiamo i fatti.

L’Isis è in guerra ed ha aperto da settimane il fronte libico. Sembra risaputo, ma scendiamo un po’ più in profondità.

L’Isis ha una sua visione del mondo: loro sono il “bene”, mentre tutto quello che è fuori da loro è il “male”. Utilizzano e strumentalizzano a loro modo un’antica religione per mascherare un progetto di egemonia e di potere. Fanno assistenza sociale verso i poveri nei Paesi dove agiscono, dando loro cibo, identità e facendoli studiare nelle loro scuole coraniche. Così manipolano il bisogno e lo trasformano in una macchina di violenza e terrore.

Hanno una quantità sterminata di risorse economiche e, quindi, sono in grado di autofinanziarsi e di finanziare sfruttando i canali più impensabili, finanche i circuiti finanziari occidentali.

Hanno armi a bizzeffe, spesso vendute dagli stessi Paesi occidentali. Ieri in chiave anti Saddam in Iraq, più di recente in chiave anti Gheddafi in Libia e in chiave anti Assad in Siria. E così anche in Tunisia, in Egitto… durante la cosiddetta primavera araba.

Ma i terroristi dell’Isis hanno soprattutto tre caratteristiche perverse che devono farci riflettere:

sono fortemente motivati. Hanno quel furore ideologico che li spinge ad andare oltre ogni limite e ogni ostacolo, affrontando sfide ritenute logicamente impensabili;

hanno un piano di propaganda tanto drammatico quanto efficace quando, senza battere ciglio, sgozzano 21 cristiani coopti nella parte della Libia che si affaccia sulla Sicilia e sull’Italia;

hanno una strategia egemonica su tutti i gruppi e le minoranze locali estremiste, per cooptarli e arruolarli ai loro fini e così variare i teatri di guerra, diversificare i fronti del conflitto e rendere plastica l’idea del “Grande Sultanato”.

Di fronte a questo scenario la Sicilia ha necessità di aver riconosciuti diversi bisogni vitali:

1.l’Isola va messa in sicurezza. E’ necessario aprire un’interlocuzione con il Governo nazionale e con l’Europa per evitare che sia sottoposta a notevoli rischi di aggressione o che continui ad essere abbandonata a se stessa come ancora avviene con la gestione degli sbarchi a Lampedusa. Niente stupida militarizzazione, ma neanche mettere la testa sotto la sabbia e affidarsi al fatalistico “pensateci voi”, che nella storia ci ha fatto solo dei danni;

2.alla sicurezza della Sicilia deve corrispondere la sicurezza sanitaria, militare e sociale anche dei Paesi rivieraschi a partire dalla Libia, usando un approccio diverso da quello fin qui utilizzato. Non mi stanco di ripeterlo: il problema non sono gli immigrati onesti che scappano dalla fame e dalla guerra, ma le bande – chiamiamole senza reticenza – “mafiose” che li sfruttano, li violentano e li scaricano nelle carrette del mare. Non si possono, ovviamente, lasciarli morire in mare, né lasciarli ad una lodevole accoglienza. Bisogna che la Sicilia dica all’Italia, all’Europa e all’ONU che è necessario collocare, a partire dalla Libia, delle forze ONU nelle coste per programmare e regolare il flusso immigratorio in modo ordinato e civile, senza che le mafie locali e l’Isis possano metterci le mani;

3. è necessario che la Sicilia diventi realmente l’Isola del dialogo. Si chieda a Renzi e all’Europa che la Sicilia diventi una piattaforma per far dialogare gli Israeliani e i Palestinesi, ma anche per organizzare l’insostituibile dialogo tra le due fazioni libiche anti Isis che stupidamente ancora si combattono spianando la strada alla presa dei terroristi. Si ospiti in Sicilia il confronto tra queste due realtà e si lavori per riunirle in funzione anti Isis e soprattutto per ristabilire una classe dirigente in grado di riprendere in mano la sovranità e l’integrità territoriale della Libia;

4.si dia una mano alla Sicilia per evitare che il peso dell’accoglienza ricada in buona parte sulle sue spalle. Faccio due esempi: a Lampedusa da un anno si aspetta che il Governo nazionale dia il via libera per attivare un moderno Centro Permanente Sanitario, già costruito e pronto all’uso. Cosa si aspetta? Si tratta di un centro in grado di curare bene i lampedusani ma anche di far fronte a qualunque evenienza sanitaria dovuta agli sbarchi degli immigrati spesso in precarie condizioni di salute. L’altro esempio riguarda quei Comuni siciliani lasciati soli a ospitare i minori immigrati mettendo in serio rischio i loro già precari bilanci. Queste spese, a carico dello Stato, devono essere elargite presto e non dopo mesi e mesi come avviene ormai di routine. Insomma l’accoglienza richiede modernità, un’ottima organizzazione sanitaria e sociale. Penso alle Ipab siciliane, oggi strutture fatiscenti, costose e assistenziali, che potrebbero diventare, attraverso dei finanziamenti nazionali ed europei, centri di accoglienza moderni con servizi integrati.

Infine, non possiamo non affrontare la questione energetica. Dalla Libia passa il metanodotto che, attraverso la Sicilia, arriva in Italia e in Europa. In quest’area ci sono interessi vitali che hanno una ricaduta più vasta. Far cadere le fonti energetiche libiche in mano all’Isis e mettere a rischio il metanodotto significherebbe uno smacco micidiale per il nostro Paese e appiattirebbe l’economia energetica nazionale sulla Russia, rendendola ancora più forte e prepotente.

Allora, si cambi passo e la Sicilia lavori di buona lena perché diventi lo spazio della cooperazione professionale ed imprenditoriale dell’area euromediterranea. Anche su questo aspetto qualche esempio: in tutti questi Paesi rivieraschi, dal Nord Africa ai Paesi arabi, il tema delle risorse idriche è decisivo. In Sicilia dobbiamo fare il nostro salto di qualità sull’assetto idrogeologico e sull’acqua pubblica, facciamolo in modo che le nostre Università diventino il luogo della grande progettualità e della formazione di grandi professionalità che servano a noi e a questi Paesi. Pensate ancora a quello che si potrebbe fare in ambito sanitario con la telemedicina, così in agricoltura, nei beni culturali, nel turismo … Insomma, basta con la retorica della “Sicilia cuore del Mediterraneo”, ma come vero snodo di sviluppo produttivo e formativo.

Naturalmente tante altre questioni potrebbero essere sollevate, altre soluzioni sono possibili, ma il silenzio no, l’indifferenza peggio. Mi auguro che su questi temi la classe dirigente siciliana dia il suo contributo ed in particolare l’Assemblea regionale diventi uno spazio per riflettere ed agire in modo progettuale e sistemico.


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