Confisca da 5 milioni per Capizzi | Voleva rifondare Cosa nostra - Live Sicilia

Confisca da 5 milioni per Capizzi | Voleva rifondare Cosa nostra

Benedetto Capizzi, arrestato nell'operazione Perseo nel dicembre del 2008

Tra i beni che passano allo Stato c'è pure una villa di tre piani nel rione Villagrazia dove Benedetto Capizzi scontava l'ergastolo ai domiciliari. Si era finto malato. Poi, il nuovo arresto nel blitz Perseo dei carabinieri. GUARDA IL VIDEO

PALERMO - MAFIA
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PALERMO – Al civico 6 E di via Valenza, nel cuore della borgata di Villagrazia, c’è una bella villa su tre elevazioni. Da oggi quella villa passa per sempre al patrimonio dello Stato. Confiscata.

Il capomafia Benedetto Capizzi vi trascorreva da ergastolano gli arresti domiciliari. Il carcere a vita gli era stato inflitto, assieme al boss di Altofonte Mimmo Raccuglia, per l’omicidio di un autotrasportatore del paese in provincia di Palermo. A febbraio 2008, dieci mesi prima che lo arrestassero di nuovo nel blitz Perseo, era riuscito a farsi scarcerare spacciandosi per malato. E dalla sua residenza dirigeva la riorganizzazione della Cosa nostra palermitana.

Oggi per lui, al termine delle indagini patrimoniali del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri, scatta la confisca di un patrimonio che vale 5 milioni di euro. Il provvedimento è della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Tra i beni, oltre alla villa, ci sono alcuni fabbricati ed imprese edili, di movimento terra e demolizioni.

Capizzi si era messo in testa di convocare la commissione provinciale di Cosa nostra che non si riuniva più dall’arresto di Totò Riina. Ed aveva trovato sponda nei boss della provincia, ma era pure entrato in contrasto con il clan palermitano di Porta Nuova. Al figlio Sandro suggeriva la strategia: “Se qualcuno vuole alzare la ‘cricchia’ se la cali perché ci lascia la pelle, chiaro?… pugno duro, hai capito? Pugno duro con tutti”.

L’obiettivo era creare una sorta di direttorio ristretto: “…all’ultimo ci sediamo e cerchiamo di fare una specie di Commissione all’antica… cinque, sei, otto cristiani come si faceva una volta e quindi la responsabilità se dobbiamo fare una cosa ce l’assumiamo tutti”. I suoi piani saltarono con il bliz Perseo e Capizzi tornò in cella dove sta scontando non solo la condanna all’ergastolo per l’omicidio dell’autotrasportatore, ma pure i trent’anni per uno dei delitti piè efferati nella storia di Cosa nostra, l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.

Il figlio del pentito Santino, rapito nel ’93, quando aveva 12 anni, venne assassinato dopo due anni di prigionia. Capizzi, assieme a Brusca e a Michele Traina, consegnò il bambino in mano ai carcerieri agrigentini che lo tennero segregato per sette mesi, prima di riconsegnarlo ai palermitani che lo trasferirono a Gangi, poi a Campobello di Mazara e infine a San Giuseppe Jato dove fu strangolato e sciolto nell’acido da Giovanni Brusca.


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