Terranova: “Per noi il processo| Farmacia comincia oggi” - Live Sicilia

Terranova: “Per noi il processo| Farmacia comincia oggi”

I legali di parte civile non ricorreranno in appello, ma non escludono la possibilità di avanzare la richiesta di riapertura delle indagini se dovesse arrivare l’archiviazione del procedimento per omicidio colposo.

IL LABORATORIO DEI VELENI
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Un passaggio della sentenza

CATANIA – “Per noi il processo Farmacia comincia oggi”. Le parole dell’avvocato Santi Terranova non lasciano spazio a nessun dubbio: la parola fine sul caso del presunto laboratorio dei veleni non è stata ancora scritta. Nonostante l’esito del processo di primo grado, i legali di parte civile vanno avanti. Non ricorreranno in appello, ma non escludono la possibilità di avanzare la richiesta di riapertura delle indagini se dovesse arrivare l’archiviazione del procedimento per omicidio colposo plurimo e aggravato e lesioni personali sul quale il Gip potrebbe pronunciarsi già dopo domani.

I legali delle parti civili, Terranova, Iannello e Presti, riuniti oggi pomeriggio in conferenza stampa, hanno reso noti alcuni passaggi salienti delle motivazioni della sentenza del processo di primo grado che, a loro avviso, non possono non essere tenuti in considerazione sia rispetto alla richiesta di archiviazione dell’altro procedimento sia rispetto alla possibilità di riaprire le indagini. Nello specifico i legali hanno fatto riferimento al fatto che le condizioni dei laboratori furono evidenziate in sede processuale. In quell’occasione emersero non poche criticità dalle testimonianze, ma anche da quella che a oggi sarebbe per i legali “una vera e propria prova”: il memoriale del ricercatore Emanuele Patanè.

Il giovane, morto a causa di un tumore, aveva descritto in modo meticoloso quello che avveniva nei laboratori della facoltà di Farmacia. Il suo memoriale è stato “ampiamente valorizzato durante il dibattimento” e richiamato anche nelle motivazioni della sentenza (laddove i giudici si riferiscono “all’esistenza di un ambiente lavorativo caratterizzato da odori molesti e irritanti”). Le parole del ricercatore sono messe nero su bianco nelle motivazioni: “anche le sostanze altamente cancerogene venivano conservate in armadi che non erano assolutamente leciti” si legge.

E ancora: “lo sversamento dei reflui finiva direttamente negli scarichi dei laboratori”. Elementi di cui non si può non tenere conto secondo i legali che sottolineano quanto scritto nelle motivazioni: “non può dirsi acquisita prova certa della contaminazione del terreno sottostante l’edificio”. “C’è scritto prova certa non nessuna prova” dicono ricordando che  le perizie furono  “effettuate su un luogo già bonificato”. Nelle motivazioni, più volte richiamate dai legali di parte civile, si usano inoltre parole dure (“testimonianze fastidiosamente accomodanti”) nei confronti “di alcuni docenti universitari chiamati a testimoniare” che “minimizzarono” la situazione dei laboratori in sede di dibattimento. Inoltre, ci sono nuovi casi di presunte vittime dei laboratori.

Tra questi una ricercatrice che circa un anno fa è morta “dello stesso identico male di Patanè”. Inoltre, come detto in più occasioni, il processo non ha preso in esame numerosi altri casi per via del periodo preso in esame. Per questo i legali vorrebbero sollecitare l’intervento della Procura alla luce delle motivazioni. Anche perché non si esclude affatto “l’esistenza di odori molesti, sgradevoli e senz’altro pregiudizievoli per la salute dei frequentanti l’Istituto”. Gli avvocati vorrebbero per questo lanciare l’ipotesi di creare una forma associativa dei congiunti delle presunte vittime, invitando alla denuncia tutti coloro che non hanno parlato fino ad ora.

 “Ci sono anche alcuni casi che non sono venuti fuori per una forma di omertà”, dice l’avvocato Terranova che invita alla denuncia. Un percorso sicuramente difficile come ha raccontato Maria Lopez, madre di un’altra ricercatrice precocemente scomparsa, Agata Annino. “Mia figlia mi raccontava le stesse cose scritte da Patenè”, dice  ripercorrendo le difficoltà vissute sulla propria pelle quando voleva denunciare e tutti le dicevano: “Cosa fai? Ti metti da sola contro l’Università?”.

 

 

 

 

 


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