Il vigile inflessibile e l'avvocato |Il tribunale dà ragione a Romeo - Live Sicilia

Il vigile inflessibile e l’avvocato |Il tribunale dà ragione a Romeo

Jimmy D'Azzò aveva querelato il poliziotto municipale. Ma il processo per abuso d'ufficio, falso e minacce si è concluso con l'assoluzione. L'intervista. "Il mio modello? La New York di Giuliani"

PALERMO - IL CASO
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PALERMO – L’avvocato contro il vigile. Alla fine ha avuto la meglio il poliziotto municipale. Da una parte il penalista Jimmy D’Azzò. Dall’altro Fabrizio Romeo, l’agente più temuto della città, finito sotto processo con l’accusa di aveva. Tutte accuse cadute “perché il fatto non sussiste” e “per non averlo commesso”, così come chiesto nella sua arringa dall’avvocato difensore, Emilio Chiarenza.

Il 12 aprile 2012 la macchina di D’Azzò era parcheggiata in divieto di sosta davanti ad un panificio di via Alcide De Gasperi. Per la cronaca, si tratta dell’attività commerciale di Tanino Vasari, gloriosa mezzala del Palermo dei picciotti di Arcoleo. Vasari è stato uno dei testimoni citati da D’Azzò per spiegare quanto, a suo dire, successe quella mattina.

Romeo multò l’avvocato che non ha contestato la punizione per l’infrazione commessa, ma il modo di agire di Romeo. Aveva chiesto al vigile che gli consegnasse subito la multa, essendo presente sul posto. Ed invece Romeo gli disse che la notifica della multa gli sarebbe arrivata a casa. Gli animi si scaldarono. Nella sua querela, D’Azzò raccontò che alla sua richiesta di ricevere la multa subito, il vigile lo invitò ad andare via, altrimenti avrebbe chiamato il carro attrezzi.

Ed iniziò pure a contare con le dita i dieci secondi, termine entro il quale avrebbe denunciato il penalista. Penalista che restò inamovibile sulle sue posizioni. D’Azzò, che allora era anche consigliere comunale, chiamò il comandante dei vigili urbani Serafino Di Peri per segnalare il comportamento di Romeo. Non contento, si precipitò in caserma dove fece la stessa richiesta al vice di Di Peri, Vincenzo Messina (che ora è il comandante). Entrambi hanno fatto quadrato attorno al vigile. “Meno male che ci sono ispettori zelanti come Romeo”, ha detto Di Peri davanti al pubblico ministero Carlo Lenzi e al Tribunale presieduto da Vincenzina Massa. D’Azzò, invece, assistito dall’avvocato Dario Gallo, si è sempre detto certo di avere le prove che di zelo non si trattò. Falso sarebbe pure il verbale in cui Romeo scrisse che lui non era presente sul posto nel momento in cui venne rilevata l’infrazione. “Ero lì, ci sono pure le foto”.

Il nome di Romeo è noto in città. Multava e multa tutto e tutti, persino i suoi colleghi non la passano liscia. Anni fa prese di mira le macchine di altri vigili parcheggiate davanti alla caserma di via Dogali. Qualche mese fa è inciampato in una grana giudiziaria. Romeo è stato condannato a quattro mesi di carcere, con la sospensione condizionale della pena e il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale, nonostante la Procura avesse chiesto l’assoluzione. Assieme ad un collega, Vincenzo Mattaliano, era imputato di lesioni colpose aggravate.

A denunciarli, nel 2010, era stato un motociclista a conclusione di un altro animato pomeriggio palermitano. I due poliziotti municipali erano in servizio in via Roma, nei pressi di via Emerico Amari. E iniziarono a multare moto e scooter parcheggiati sul marciapiede. Fra questi c’era il mezzo di un trentenne che lavorava poco distante e che cercò di evitare la multa. Niente, i vigili opportunamente non vollero sentire ragioni. Volò qualche parola di troppo fino a quando, così è stato ricostruito anche grazie ad alcuni testimoni, i vigili non chiesero all’uomo di esibire la patente, contestandogli che il tagliando con il cambio di residenza non fosse visibile. La patente andava sequestrata. Gli animi si agitarono ancora di più. Ed è da questo momento in poi che le versioni di accusa e difesa iniziarono a divergere. Secondo i vigili, l’uomo sarebbe andato in escandescenze e avrebbero tentato di bloccarlo. Balle, disse il centauro: “Non ho fatto nulla e hanno pure tentato con forza di farmi salire nella loro macchina. Volevano arrestarmi”. La versione dei centauri è passata al vaglio del giudice di primo grado.


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