Salvate il soldato Giuseppe - Live Sicilia

Salvate il soldato Giuseppe

L’indomani ricevo una busta di plastica con alcune foto ingiallite. Riconosco quel volto dall’attaccatura dei capelli. Vedo quella luce ormai spenta negli occhi di un giovane fiero che parte per servire la Patria. Giro una delle foto e leggo...

Il vecchietto cieco è arrivato in reparto che non rispondeva, gonfio come un otre e ingorgato dal suo stesso catarro e dalla pastina che le mani amorevoli dei suoi figli continuavano ad offrirgli anche se lui non accusava alcun senso di fame. Da alcuni anni al vecchietto tremavano le mani dello stesso tremore di quelle del Papa polacco e qualcuno aveva avuto il buon senso di tentare di fermarle a forza di pillole. E così il vecchietto aveva sì le mani più ferme, ma si era ridotto a sopravvivere in un continuo dormiveglia che ostacolava i residui rapporti con il mondo e la deglutizione, un riflesso ancestrale che si inceppa nei pazienti più fragili. Fu proprio per questo che quando lo vidi per la prima volta mi parve l’ennesimo esempio di questa strana miopia che sempre più spesso ci impedisce di percepire la differenza che sussiste tra il prolungare la vita e il prolungare la morte. E allora, sotto con la nutrizione per flebo; avanti con i cateteri spinti in ogni orifizio per aspirare tutti gli scarti di un corpo in disfacimento.

A poco a poco, smaltita l’overdose di farmaci, il vecchietto sembrava lentamente riprendersi. Fino a quando una mattina, entrato nella stanza per la visita, mi rivolgo al figlio chiedendo: “Come sta ?”. Una voce sconosciuta sembra raggiungermi dalla lontana periferia della coscienza di sé: “Bene”. Incredulo, mi avvicino a lui alla ricerca di conferme. “Come si chiama. Quando è nato ?”. Le risposte, semplici e complesse allo stesso tempo, sono schiaffi al mio scetticismo di medico che ne ha viste tante: “Mi chiamo Giuseppe. Sono nato il 19 gennaio 1921”. Mi chino ancor di più sulla sponda del letto. Solo l’occhio destro, che ancora percepisce un barlume, sembra seguire la mia ombra sfumata. “1921, vero ? Allora lei ha fatto la guerra”. E lui lentamente, ma con una lucidità che mi lascia senza fiato, rovista nei cassetti della sua memoria e tira fuori il suo dai meandri dei polmoni ingorgati per raccontare. Comincio a conoscerlo ben oltre le sue secrezioni.

“Siamo partiti in tre fratelli per la guerra. Benedetto è morto nel naufragio del cacciatorpediniere Pancaldo. L’altro mio fratello Ciccio è tornato dopo aver rischiato di morire assiderato in Russia. Io ho prestato servizio in Aviazione, dapprima a Rodi e poi a Pantelleria”. E così scopro che Giuseppe ha partecipato nella parte del bersaglio alla famosa “Operazione Corkscrew (cavatappi)” con la quale gli Alleati, dopo aver riversato sull’isola circa cinquemila tonnellate di bombe in un mese, “liberarono” il primo minuscolo frammento di territorio nazionale. “Noi militari stavamo al riparo negli hangar scavati nella roccia, ma molti civili morirono nelle loro case. Quando sbarcarono gli Inglesi, mi fecero prigioniero e mi portarono dapprima a Suez e poi ad Algeri”. Il figlio di Giuseppe depone sul comodino il cucchiaio di plastica e piange. Mi promette: “Domani le porto qualcosa”.

L’indomani ricevo una busta di plastica con alcune foto ingiallite. Riconosco quel volto dall’attaccatura dei capelli. Vedo quella luce ormai spenta negli occhi di un giovane fiero che parte per servire la Patria. Giro una delle foto e leggo: “Mamma, questa è quella che desideravi e che forse ti piace di più perché rido. Ti bacio. Tuo figlio. Rodi 7 Marzo 1942, XX”. E poi un’altra: “Verrà quel giorno, verrà. Presto sarò da voi. Algeri 11 Maggio 1945”. I numeri romani che indicano l’era fascista e che contano gli anni a partire dal 1922, come se la Marcia su Roma equivalesse alla nascita di Gesù Cristo, sono spariti. Come sparita per sempre è la giovinezza di Giuseppe e dei suoi fratelli. I fratelli Ryan di Altarello di Baida.

La TV è accesa nella stanza d’ospedale mentre mi rigiro tra le mani le foto di quei giovani militari sorridenti e impettiti. Il telegiornale racconta la storia di alcune ragazze di Forlì capaci di concepire ricatti a sfondo sessuale o di vendersi per una ricarica o uno smartphone di ultima generazione. Guardo Giuseppe e i suoi occhi che hanno perso la luce per sempre. Non voglio che le sue orecchie ascoltino questo orrore. Non voglio che sappia come oggi si osi sprecare il tesoro della giovinezza. “Presto, spegnete la TV. Salvate il soldato Giuseppe”.

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