Delitto Di Giacomo, tre gli indagati | Ma il giudice nega l'arresto - Live Sicilia

Delitto Di Giacomo, tre gli indagati | Ma il giudice nega l’arresto

Giuseppe Di Giacomo e il luogo del delitto

Le tracce di Dna trovate sulla pistola utilizzata per uccidere il boss non bastano a fare scattare la misura cautelare. Una telefonata "salva" gli indagati, ma ci sono tanti punti oscuri che tengono in piedi l'inchiesta.

MAFIA - PALERMO
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PALERMO – La Procura di Palermo avrebbe voluto arrestarli tutte e tre, ma il Gip Riccardo Ricciardi ha respinto la richiesta. E così restano indagati a piede libero, anche se liberi non sono, per l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo, freddato per le strade della Zisa nel marzo scorso. Gli indagati sono Agostino Nicotra, Sergio Giacalone e Salvatore Pispicia.

Sono a piede libero per questa inchiesta, ma sono detenuti per altro. Il primo è finito in carcere qualche settimana fa per rapina, gli altri due furono arrestati pochi giorni dopo il delitto Di Giacomo. I poliziotti della Squadra mobile li fermarono in piazza Lolli a bordo di una vecchia Fiat Uno dove nascondevano due pistole, una calibro 38 e una 7,65. Quest’ultima pistola, secondo i periti della polizia scientifica, è la stessa che ha ucciso Di Giacomo. Sul grilletto c’è traccia del Dna di Nicotra, così come nel passamontagna.

Sembravano prova solide, ma le cose sono andare diversamente. C’è, infatti, una circostanza che stravolge l’impianto accusatorio: Nicotra nello stesso istante in cui i killer uccidevano Di Giacomo in via Eugenio L’Emiro stava parlando al telefono con una donna, come conferma l’analisi dei tabulati, in tutt’altra parte della città. Per la precisione, in via Messina Marine.

E così l’accusa di concorso in omicidio è caduta. L’accusa, ma non l’indagine perché ci sono altri particolari da tenere in considerazione. Uno su tutti: il telefono di Nicotra nelle ore precedenti il delitto avrebbe agganciato la cella che include anche via Eugenio L’Emiro. Ipotesi sussurrata dagli investigatori: Nicotra potrebbe avere avuto l’incarico di consegnare la pistola a qualcuno che l’avrebbe poi utilizzata per l’omicidio. Successivamente, gliel’avrebbero riconsegnata. Perché? Per farla sparire e lui avrebbe commesso il grave errore di non disfarsene?

Ipotesi, solo ipotesi che cozzano con quanto avrebbero dalla difesa di Pispicia. Gli avvocati Filippo Gallina, Teresa Nascè e Claudio Congedo, nell’ambito dell’inchiesta per la detenzione illegale delle armi, hanno incarico un un perito di parte secondo cui, il proiettile che ha ucciso Di Giacomo non sarebbe stato esploso dalla Smith & Wesson calibro 38 a bordo della Uno.

Nel frattempo si rileggono le intercettazioni dei tre indagati ascoltati in carcere. Facevano riferimento in modo criptico all’omicidio, ma potrebbe trattarsi di una reazione alle notizie su Giacalone e Pispicia il cui fermo veniva associato alle indagini sulla morte di Giacomo.

Restano in piedi diversi interrogativi. Giacalone e Pispicia progettavano una rapina oppure qualcosa di più? Volevano completare il lavoro iniziato con il primo delitto? Stavano portando le armi da qualche parte? Fabio Pispicia in passato ha rimediato una condanna per droga ed è fratello di Salvatore, personaggio che conta nella mafia di Porta Nuova, oggi in carcere e cognato di Tommaso Lo Presti, che del mandamento sarebbe stato il capo. Sergio Giacalone ufficialmente fa il meccanico ed è incensurato, ma scavando nel suo recente passato emergono delle ombre. Che qualche anno fa non furono sufficienti a processarlo. Arrivò, infatti, un’archiviazione. La polizia nel 2005 lo aveva tenuto sotto controllo. La sua officina di via Mariano Smiriglio era imbottita di microspie. È la stessa officina meccanica poco distante dalla quale Giacalone è stato fermato assieme a Pispicia.

Il 28 gennaio 2008, Andrea Bonaccorso, pentito del clan di Brancaccio, di lui diceva “che questa officina prima era di Andrea Adamo che è a Piazza Virgilio alle spalle, però è venuto qualche volta da me per un appuntamento che mi voleva parlare Gianni per cose da dire a suo fratello però… va. Lui non… a me non mi risulta di essere… ci mettevamo d’accordo per dove fare i passaggi per portarmi a sua moglie e portarla a casa da lui, quando lui era latitante (sta parlando di Andrea Adamo (ndr)”.

Di recente Livesicilia ha svelato le dichiarazioni di Vito Galatolo sul delitto: “Giuseppe Di Giacomo aveva offeso Tommaso Lo Presti che voleva impadronirsi del mandamento e per questo fu ucciso”. I verbali del boss dell’Acquasanta sono entrati nell’inchiesta sull’omicidio. Si fa riferimento al possibile mandante del delitto: “Lui mi dice il Graziano (Vincenzo Graziano, mafioso dell’Acquasanta di recente finito di nuovo in cella ndr) che l’omicidio Di Giacomo è stato avvenuto che forse… siccome era uscito Tommaso Lo Presti ‘u pacchiuni’, figlio di Totuccio, ed era uscito male intenzionato con tutti dice che si doveva prendere tutte cose nelle mani lui… ci dissi e che cos’è?… . ‘… è stato interno, forse c’è stata una riunione… mi hanno riferito che c’è stata una riunione’”.

Tommaso Lo Presti è stato per alcuni mesi uno degli scarcerati eccellenti della mafia palermitana. E’ tornato in cella nell’aprile scorso dopo avere finito di scontare una condanna. Le informazioni raccolte sul territorio dagli investigatori dicono che dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio, leader del mandamento di Porta Nuova, Di Giacomo aveva scalato le posizioni di potere, forte della parentela con il fratello Giovanni, killer ergastolano del gruppo di fuoco di Pippo Calò.  Galatolo ha raccontato che Graziano avrebbe saputo “che forse il Di Giacomo Giuseppe gli avrebbe dato o uno schiaffo a Lo Presti Tommaso, il pacchione, o lo avrebbe offeso con la bocca… ci dissi è per questo lo hanno ucciso a Giuseppe?’. ‘Sì dice, ci sono stati discorsi interni, però il pacchione so… mi ha riferito questo fatto che è male intenzionato, perché si doveva prendere tutte cose nelle mani’”.


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