Storia di Antonio Ingroia, | ex pm votato alla politica - Live Sicilia

Storia di Antonio Ingroia, | ex pm votato alla politica

L'ultimo "problema", l'iscrizione coatta nel registro degli indagati per le assunzioni in Sicilia e-Servizi. La parabola del magistrato antimafia, dai processi al flop di Rivoluzione civile, fino agli incarichi di sottogoverno distribuiti da Crocetta e bocciati da Csm e Autorità anticorruzione.

PALERMO – Se i successi fossero commisurati alla capacità di osare oggi Antonio Ingroia avrebbe una teca piena di medaglie. Ed invece, ahilui, non gli è andata sempre bene. A volte, ad onor del vero, piuttosto male fra scivoloni e fallimenti. L’ultima tappa è quell’inscrizione coatta nel registro delle notizie di reato disposta dal giudice per le indagini di Palermo che, dovendo affrontare il pasticcio delle assunzioni a Sicilia e Servizi, è saltato sulla sedia quando ha letto che i colleghi della Procura chiedevano l’archiviazione dell’inchiesta a carico di ignoti per abuso d’ufficio.

Ma come ignoti, avrà pensato il giudice Lorenzo Matassa, se c’è un rapporto della finanza che fa nomi e cognomi? Usiamo il plurale perché Ingroia è citato nell’informativa assieme al governatore Rosario Crocetta (compresa una buona parte della vecchia giunta di governo) che lo ha tirato fuori dalle macerie del suo progetto politico per affidargli un paio di poltrone. Alla fine si sta “accontentando” di quella di amministratore unico della società regionale. Proprio amministrando Sicilia e-Servizi Ingroia è prima inciampato nella citazione a giudizio della Corte dei Conti per il presunto danno erariale provocato dalle assunzioni (“Una decisione che rinnega la prima scelta di legalità, cioè quella di affidare quei servizi ai dipendenti regionali”, scriveranno i pm contabili) e poi nell’indagine della Procura di Palermo. Un’indagine che si era affrettato a definire una “bufala” nei giorni in cui Livesicilia ne dava notizia. Bufala non era.

Una delle sue ultime uscite l’abbiamo ascoltata dalle frequenze di Radio 24. Ingroia, pochi giorni fa, ha detto di non avere chiuso con la politica, snocciolando percentuali: “Da magistrato la politica costituiva il 5% del mio interesse, poi è diventato l’80% del mio interesse, oggi mi occupa per il 20%. Partecipo al dibattito su una futura aggregazione e coalizione politica e sociale come chiedono Landini e Rodotà. Non sono in prima fila ma sono da quella parte”.

Ingroia rimane defilato per sua stessa ammissione. Lontano, almeno per il momento, dalla roboante discesa in campo con la sua Rivoluzione civile. Un’esperienza che fu costretta a “chiudere” perché lo sbarramento alle politiche risultò, a urne svuotate, un’asticella troppo alta da superare per lui e i suoi compagni di viaggio. All’inizio della campagna elettorale per le politiche del 2013 annunciava la forza dei grandi numeri. Giorno dopo giorno capì che era distante anni luce dal pienone elettorale e cercò alleanze nel Pd di Matteo Renzi che, però, gli chiuse la porta in faccia. Ad Ingroia che si offriva per un’alleanza post-elettorale con il centrosinistra “senza Monti“, il futuro premier rispondeva cinico: “L’operazione di Ingroia non ha futuro, è finalizzata solo a togliere voti al centrosinistra per far vincere la destra”. Ed ancora: “Spiace che un giudice lasci pro tempore la magistratura, e se non raggiunge il quorum che succede? Torna a fare il giudice? È un meccanismo che mette in discussione la terzietà del giudice, l’imparzialità”.

Per la verità Ingroia il giudice non sarebbe tornato a farlo. Troppo lontana Aosta dove il Csm decise di inviarlo allo scadere dell’aspettativa elettorale e delle ferie. Lui avrebbe preferito la Procura nazionale antimafia. Non era una punizione, ma il rispetto della legge. Aosta, infatti, era l’unica città dove Ingroia non si era candidato premier alla testa della sua Rivoluzione civile. Il procuratiore aggiunto scelse, però, di decadere dall’incarico, annunciando alle agenzie che “il mio addio alla magistratura è da considerarsi definitivo”.

Ingroia rinunciava al ruolo di pm in una piccola Procura e lontano dai riflettori, dopo essere stato il magistrato più autorevole a Palermo. Lui, solo per citare il processo mediaticamente più esposto, è stata la mente dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Anche in questo caso aveva osato spingendosi a chiedere l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche fra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e l’ex ministro e imputato Nicola Mancino. Il capo dello Stato sollevò il conflitto di attribuzione e la Corte costituzionale gli diede ragione: le telefonata andavano e sono state distrutte.

L’inchiesta ha fatto il suo corso e oggi si celebra un processo. Presto arriverà il momento clou, quando sul banco dei testimoni salirà Massimo Ciancimino, teste chiave ma pure imputato. Ingroia è fra quelli che più hanno creduto e investito sulla credibilità del figlio di don Vito fino a definirlo “quasi un’icona dell’antimafia” nel libro “Il labirinto degli dei”. Che il “quasi” fosse presagio degli scivoloni del supertestimone? Pochi mesi dopo l’uscita di quel libro ad Ingroia toccò arrestare Ciancimino jr per avere calunniato l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Ciancimino nonostante tutto resta un uomo chiave del processo che tante frizioni creò anche nel rapporto fra Ingroia e e l’ex procuratore Francesco Messineo. Prima la decisione di Messineo di non firmare l’avviso di conclusione delle indagini sulla Trattativa. Poi, la presa di distanza dalle parole di Ingroia che definì “politica” la sentenza della Corte costituzionale. Era venuto meno quel patto fra Md e Unicost che portò Messineo a Palermo dove, nel frattempo, era esploso il caso degli incontri fra Francesco Maiolini, l’ex amministratore delegato di Banca Nuova indagato per usura bancaria, e il capo dei pm palermitani. Un caso chiuso dai pubblici ministeri di Caltanissetta che archiviarono l’inchiesta per la presunta fuga di notizie e chiuso pure dal Csm che non prese provvedimento alcuno per Messineo. L’inchiesta sull’usura bancaria era coordinata da Ingroia. Sul tavolo del magistrato erano finite le intercettazioni “compromettenti”. Sei mesi dopo averle ricevute, e pochi giorni prima di volare in Guatemala per mettersi al servizio dell’Onu, il procuratore aggiunto Ingroia trasmise il fascicolo, intercettazioni comprese, a Caltanissetta. Quella in Guatemala per combattere i narcotrafficanti fu una breve parentesi. Doveva restarci un anno e invece dopo un paio di mesi Ingroia tornò in patria, cedendo alle sirene della politica.

Una parentesi, a pensarci bene. Qualche comparsata televisiva nel ruolo inedito di candidato premier, qualche polemica all’interno del suo movimento. Poi, dalle aspirazioni da capo del governo, Ingroia ha dovuto limitarsi a quelle del sottogoverno. Così, si apre la stagione degli incarichi. Proposti dal governatore Crocetta con una pervicacia e una costanza che farebbe pensare a una splendida ossessione del presidente nei confronti dell’ex pm antimafia. Una connotazione, quest’ultima, che in qualche caso sarà tornata buona per regolare i rapporti interni alla propria maggioranza: “Il magistrato che ha combattuto la mafia è dalla mia parte”. Come puoi opporti?

Ma la riconversione dell’inquisitore in amministratore non è stata affatto semplice. Anzi, l’ultimo anno e mezzo è stato costellato dalle bocciature e dalle bacchettate di una sfilza di organi rappresentativi e di controllo. È il caso del primo tentativo andato a vuoto. Per Rosario Crocetta, Riscossione Sicilia è l’unico gabelliere d’Italia in perdita. Uno scandalo. Così evidente che in queste settimane l’assessore all’Economia Alessandro Baccei starebbe pensando di chiudere, per mettere nelle mani di Equitalia la riscossione delle tasse. Ma già allora, un anno e mezzo fa, per il presidente, più che una liquidazione serviva uno sceriffo. E del resto, quale posto migliore del settore riscossione che, secondo Ingroia, ha rappresentato “uno snodo del sistema economico o politico-mafioso della Sicilia”. Trent’anni prima, ma poco conta. Anche perché su quella poltrona Ingroia non si siederà mai. Quei “cattivoni” del Csm hanno alzato paletta rossa. Niente da fare. Poco male. La mafia è ovunque. Basta trovarla. E a Sicilia e-Servizi c’era anche un cognome: quello di Marilena Bontade, parente del boss. Ecco allora Ingroia, accompagnato dalle trombe dell’antimafia verso la società dell’informatica. Per liquidarla, ovviamente. Almeno all’inizio. Il compenso da liquidatore è di appena 50 mila euro. Da amministratore unico, invece, ecco la possibilità di estendere lo stipendio di circa 100 mila euro. Ma bisognava rimettere la società in carreggiata. E Sicilia e-Servizi risorge. Già che c’è, Ingroia chiama un po’ di amici, a spese dei siciliani, ovviamente. Come nel caso di Carmelo Costanza, ex tesoriere di Rivoluzione civile al quale è stato assicurato un compenso a sei cifre per consulenze legali. Lì, per il governatore, “manciugghia” ovviamente non ce n’è. Fino all’intervento di Corte dei conti e Procura.

Ma Ingroia ha costretto Crocetta a beccarsi persino la tirata d’orecchi dell’Autorità anticorruzione. Perché nella foga di attribuire incarichi all’ex pm, il governatore ha deciso di inviare Ingroia persino al vertice della Provincia di Trapani. La mafia qui non c’entra? No, c’entra eccome. Per Crocetta, quella nomina avrebbe facilitato le ricerche del latitante numero uno, Matteo Messina Denaro. Confondendo, probabilmente, il ruolo di Commissario di Provincia con quello di Commissario di Polizia. Fatto sta che anche in quel caso, ecco arrivare la “bocciatura”: per l’anticorruzione, un esterno non può assumere due incarichi da parte della stessa amministrazione. Il governatore “antimanciugghia” non lo sapeva.

Nel frattempo, una toga Ingroia la indossa di nuovo: quella di avvocato. Uno scivolone ha segnato il suo debutto. Si presentò, infatti, al processo sulla Trattativa, il suo processo, con la delega per rappresentare come parte civile l’Associazione vittime dei Georgofili di Firenze. La legge, però gli vietava di esercitare per due anni la professione forense nella città dove si aveva svolto la funzione di magistrato. Risultato: la delega di parte civile gli fu revocata. E non era l’unica irregolarità visto che l’ex pm, quando entrò in aula, non aveva ancora giurato da avvocato. Pochi mesi dopo, a giuramento eseguito, si ritrovò di nuovo al centro delle polemiche. Disse che non avrebbe mai difeso mafiosi e corrotti, suscitando la reazione stizzita dell’Unione delle camere penali: “Ingroia? Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo”.


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