Il contesto e l'arte | dello sputtanamento - Live Sicilia

Il contesto e l’arte | dello sputtanamento

Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi

Per molti magistrati, soprattutto per quelli che cercano ossessivamente il palcoscenico, un reato senza contesto difficilmente riuscirebbe a reggere la prima pagina dei giornali; sarebbe come una barca senza mare, come un’aquila senza vento. Da 'Il Foglio', l'analisi di Giuseppe Sottile.

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Una decina di anni fa i gran muftì dell’antimafia palermitana arrestarono un povero frate dell’ordine dei carmelitani scalzi. Si chiamava Mario Frittitta, era parroco di Santa Teresa alla Kalsa. Lo ammanettarono perché lui, seguendo la sua missione sacerdotale, aveva avuto l’ardire di confessare un boss latitante senza chiedere la preventiva autorizzazione né al procuratore Giancarlo Caselli né a uno dei suoi pettoruti sostituti. Come si era permesso? Ovviamente poi finì assolto: padre Mario, così lo chiamavano i parrocchiani, aveva semplicemente obbedito alle legge di Dio. Ma il coraggioso pm di Caselli, per dominare la scena del processo e puntellare un’accusa a dir poco avventata, si esibì per oltre tre ore in una disquisizione teologica. E quando il presidente del collegio giudicante chiese sommessamente quale fosse l’utilità di quel lungo e noiosissimo sproloquio, il rappresentante della procura replicò sdegnato: presidente, io sto ricostruendo il contesto.

Ecco: per molti magistrati, soprattutto per quelli che cercano ossessivamente il palcoscenico, un reato senza contesto difficilmente riuscirebbe a reggere la prima pagina dei giornali; sarebbe come una barca senza mare, come un’aquila senza vento. La descrizione del contesto invece, proprio perché non regolamentata da un preciso articolo del codice, offre la possibilità, ai procuratori e ai gip più politicizzati, di uscire tranquillamente dal seminato. E di centrare, senza pagare pegno, un obiettivo non secondario: quello di mascariare – o, se preferite: sputtanare – gente che con quell’inchiesta o con quel reato non c’entra assolutamente nulla. Per rendersene conto basta sfogliare le ordinanze di custodia cautelare, con annesse intercettazioni telefoniche, consegnate dai magistrati ai giornalisti in occasione delle ultime retate: da mafia capitale all’affare opere pubbliche, starring Ercole Incalza.

Attorno ai protagonisti, finiti in galera o ai domiciliari, e ai comprimari iscritti nel tenebroso registro degli indagati, c’è un terzo cerchio, nel quale compaiono quei poveracci che, pur essendo estranei al misfatto e non avendo ricevuto neppure un avviso di garanzia, si ritrovano comunque criminalizzati. Prendiamo il caso di Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture. L’ordinanza che manda in galera Incalza, superburocrate dell’opere pubbliche, non descrive il dettaglio delle tangenti, non dice quante mazzette ha incassato Incalza e non indica nemmeno i nomi dei corruttori che hanno pagato. In compenso, i magistrati si dilungano nella descrizione del contesto, “il Sistema” appunto, che avrebbe consentito a Incalza di diventare non solo il dominus di tutti gli appalti – “non si muove foglia che Ercolino non voglia” – ma anche il regista occulto di tutte le nefandezze riconducibili a Lupi e al partito del quale Lupi fa parte, il Nuovo centro destra di Angelino Alfano.

E come si costruisce il contesto? Con mille e mille intercettazioni telefoniche, dove ognuno parla e straparla, dove affiorano segreti inconfessabili ma anche invidie e maldicenze; e da dove viene fuori che il ministro ha avuto in regaloun vestito da sartoria mentre al figlio è stato addirittura regalato, per festeggiare la laurea, un orologio da diecimila euro. Ma attenzione: per Lupi, che ha ricevuto tutto questo maleodorante bendiddio, non c’è neppure un avviso di garanzia, perché nessuna delle cose trascritte nelle quintalate di intercettazioni è penalmente rilevante. Per Lupi, uomo politico in ascesa, c’è solo un colossale, irreversibile sputtanamento. Come per ogni altro personaggio venuto a contatto con Incalza e finito dentro quelle maledette carte. Un dannato occasionale: i giornalisti sintonizzati con le procure ogni volta che scriveranno di lui, lo marchieranno così: “Il suo nome compare nell’inchiesta su Incalza”. E se lui, lo sventurato, andrà dal magistrato a protestare per la criminalizzazione che gli è piovuta gratuitamente addosso, il procuratore o il gip gli risponderanno che, di fronte a uno scandalo così grande, loro non potevano non descrivere il contesto. E il contesto, si sa, non guarda in faccia nessuno, nemmeno gli innocenti.


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