Isis e i suoi fratelli di sangue | L'inferno della porta accanto - Live Sicilia

Isis e i suoi fratelli di sangue | L’inferno della porta accanto

Il dolore a Tunisi

Scrivevamo che i barbari erano alle porte qualche tempo fa. Non avevamo torto, purtroppo. La devastazione bussa alla porta. La Sicilia è la trincea della guerra che si combatte a due passi da qui. Perché è tanto difficile da capire? (un frame video della strage)

Tunisi e le vittime
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Quanto durerà questo sonno che ci impedisce di vedere l’inferno della porta accanto? Quanti corpi dovrà scavalcare la nostra indifferenza prima di essere travolta nella guerra che si sta combattendo e che sceglie le persone normali come bersaglio? Niente appare in grado di fermare la barbarie, soprattutto adesso, nel tempo in cui ogni malvagio può rivolgersi idealmente al vessillo nero dell’Isis – c’entri o non c’entri – e coprire la sua porzione individuale d’odio, sotto la bandiera di un odio più grande.

L’inferno è già qui. L’altro ieri Parigi. Ieri, Tunisi, quasi siciliana nella sua vicinanza, colpita dall’assalto jiahidista al Museo del Bardo, con il tributo di vittime italiane. Domani, perché non potrebbe accadere a Palermo? Perché non in Sicilia? Siamo proprio sicuri del nostro in fondo vile e sottinteso ‘Non sono Charlie Hebdo’? Quale contro-follia ci fa sentire al riparo di un Occidente diviso, problematico, che non trova risposte agli interrogativi che i massacri quotidiani pongono?

E’ stato detto: nessun allarmismo, non diamo spazio a chi vuole soprattutto farci paura. Ragionamento condivisibile, ma siamo ricaduti nella patologia opposta. Ci rannicchiamo dentro l’illusione della salvezza perché occidentali, perché la brutalità non appartiene più ai nostri codici. L’orrore continua ad esistere come reato, come serpe strisciante in un Paradiso ritenuto impenetrabile. Come eccezione. Ecco perché il sangue ‘normalmente’ proclamato e poi sparso a piene mani ci manda in corto-circuito. Non lo chiamiamo più col suo nome, abitando ormai la virtualità senza corpi né odori. Siamo occidentali e siciliani – cioè i più esposti alla frontiera della guerra che si sta combattendo, con ardenti focolai a un passo – e inconsapevoli. Ignari.

Tra ignavia e promesse di guerre sante al sapore del caffè, non intravvediamo una via d’uscita. L’unica reazione è affidata alla baldanza degli impiegati che vaneggiano discorsi mattutini sul Califfo e i suoi sgherri col primo espresso del giorno. I barbari utilizzano altri codici: la costituzione della lama alla gola, il diritto della ferocia. Noi restiamo imbambolati. Non sappiamo da quale lato della paura sistemarci. Eppure, dovremmo pretendere qualcosa di più: una vera presa di coscienza nazionale dei rischi, un dibattito regionale serio sul pericolo che ci sovrasta, perfino nell’inutile Ars che nasconde col suo vuoto di presenze la pienezza del suo non servire a un bel niente.

Dovremmo avere chiaro il punto: la prossima volta potremmo essere davvero tutti – nostro malgrado – Charlie Hebdo. E scoprirlo troppo tardi. Il sonno più profondo è il luogo in cui si manifesta l’incubo peggiore: il risveglio.


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