La città nascosta dietro il cimitero |Un giorno nel campo rom - Live Sicilia

La città nascosta dietro il cimitero |Un giorno nel campo rom

Tour tra le baracche, i rifiuti e i sorrisi dei bambini del grande campo di via del Divino Amore, dove vivono decine di famiglie. VIDEO LE FOTO

L'ingresso del campo

CATANIA – L’ingresso al campo è nascosto da una collinetta. Un cumulo di terra che separa la città da quella parallela, nata lungo il torrente Acqua Santa che, dopo poche centinaia di metri, si getta a mare. Visto dall’alto, quel villaggio si presenta come una distesa di tetti fatiscenti.

Le baracche sono ovviamente improvvisate. Legna, lamiere e altro materiale “riciclato”. Il terreno è lastricato dai rifiuti. Fin troppi. Qua e là spuntano cumuli di ferro e altri rottami. C’è anche amianto. Sullo sfondo si vede l’Etna. Un po’ più vicine, però, ci sono le cappelle cimiteriali: alte, moderne, che di notte non scompaiono alla vista, ma si colorano del rosso dei lumi funebri.

Una delle abitazioni

Proprio lì sotto vivono decine di famiglie, sono quasi tutte di origini rumene, come rivelano le targhe delle automobili posteggiate. Qualcuna ha però il contrassegno bulgaro. Soprattutto di mattina, entrare nel campo è semplice: i cani che normalmente si trovano nella zona di accesso, stavolta, non ci sono. Per la verità pare non esserci nessuno, se non qualche grosso ratto rosicchiato sul dorso che si muove tranquillo intorno alle povere abitazioni. Nemmeno il nostro arrivo lo disturba. E forse non disturba neanche i residenti.

Ci avventuriamo all’interno dell’insediamento che sembrerebbe disabitato, se non si scorgessero le antenne paraboliche sulle baracche, i panni stesi ad asciugare. E se non si sentissero gli odori di cibo in cottura, cipolle in particolare, e le risate dei bambini che devono essere tanti, a giudicare dai vestitini e bavaglini appesi ad asciugare. Sono loro che, uno alla volta, forse spinti dalla curiosità, ci raggiungono, ci seguono, ci circondano per sapere chi siamo e cosa stiamo facendo a casa loro. Ma le intenzione sono delle migliori.

I piccoli abitanti del campo

Sono sporchi. Giocano nel fango, tra i rifiuti e gli animali, quasi tutti non indossano le scarpe. Sotto la tuta un bambino le ha bianche, ma femminili. Non importa. Loro sembrano felici. E probabilmente lo sono davvero. All’inizio ci guardano in silenzio, ma poi si lasciano andare. Parlano bene l’italiano: il più grande, Gabriel, ha 11 anni. Ci racconta che va a scuola, alla Livio Tempesta. Come lui, anche gli altri bambini più piccoli. Li passano a prendere la mattina. Quel giorno però – guarda caso – la maestra è malata, ci spiega Mary, un’altra piccola ospite del campo.

Di adulti non si scorge l’ombra. Li cerchiamo, chiediamo e, dopo aver ricevutoun invito non proprio gentile da parte di una donna abbastanza corpulenta, intenta a lavare i panni, ad andarcene via. Intanto una ragazza, sembra adolescente, con i capelli appena lavati e del vestiario ordinato e pulito, come qualsiasi altra coetanea catanese, esce dalla sua roulotte con il phon in mano. Ci scorge. Si spaventa, o forse s’imbarazza. E si richiude nuovamente nella sua dimora.

Le pentole disposte con ordine all'interno di una delle casupole

Riusciamo però a intrattenerci con Rosa che sta cucinando verdure e uova. Ci spiega che all’interno del campo vivono prevalentemente rumeni e, alla nostra domanda su dove si trovino gli uomini, risponde: “La mattina vanno a lavorare”. Poi, torna a occuparsi del pranzo. Si avvicina un uomo. Sembra anziano anche se il volto segnato dal sole potrebbe attribuirgli più anni di quanti ne ha in realtà. Non parla italiano ma cerca di farci capire che loro lì, nel campo, stanno bene e hanno tutto. Il presidio leggero, di tanto in tanto, porta loro vestiti e medicinali. Un altro, un po’ schivo, si è appena svegliato. È giovane e non ha alcuna intenzione di condividere la sua storia personale con quelli che ritiene degli estranei. Lo rispettiamo.

Ci intratteniamo un altro po’, girando tra le casupole realizzate alla meno peggio, tutte o quasi allacciate alla luce elettrica e dotate di antenna per la televisione. L’acqua, quella potabile, la vanno a prendere con grossi bidoni che poi accumulano all’esterno delle abitazioni.

Un'antenna su uno dei tetti

Parliamo ancora con Rosa e con i bambini che non ci lasciano un minuto, incuriositi dai giornalisti e desiderosi di vedere gli scatti nella macchina fotografica. Poi salutiamo e andiamo via, fermandoci a osservare dall’esterno la vita all’interno del campo. Vita che continua frenetica: pochi minuti dopo la nostra partenza, ecco Rosa, con un’altra donna e alcuni bambini che, muniti di carrellino, si incamminano verso la città, forse per recuperare oggetti o abiti gettati via, o per raggiungere il centro, luogo ideale per chiedere l’elemosina ai turisti e alla gente di passaggio.

 


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