Panormitan Graffiti - Live Sicilia

Panormitan Graffiti

Un grande fregio ornato su tutto il perimetro da fiori contiene un altro annuncio gioioso: “E’ nata la Principessa Desiree. Peso 2,750 kg”. Perché anche i muri di un ospedale parlano.

Il sabato mattina scorre tranquillo in ospedale. Da una delle stanze di degenza getto un’occhiata verso il grande parcheggio desolatamente vuoto. Il solito posteggiatore olivastro e dall’età indefinibile si annoia all’ombra del cappellino rosso d’ordinanza. Un mio paziente è stato operato due giorni fa nel Reparto di Chirurgia Toracica, quattro piani più in alto. L’operazione è andata bene e penso che sarà contento di vedermi. Mi dirigo verso l’ascensore per salire a salutarlo. La sgangherata pulsantiera di chiamata per una volta è spenta; oggi l’ospedale è davvero deserto. Pochi secondi d’attesa e le porte si divaricano con un cigolio sinistro. Penso tra me e me: “Forse è meglio che me la faccia a piedi, come al solito”. Ma poi desisto: e cosa mai potrebbe accadermi ? In fondo, sono in un ospedale.

L’impatto con l’interno della cabina dell’ascensore è solo l’esordio in questo breve viaggio nell’arte applicata alla maleducazione. Con un oggetto appuntito un paio di concittadini, appassionati tifosi rosanero, hanno inciso sulla lamiera segni di imperitura gratitudine verso quel centravanti spilungone che, dopo oltre trenta anni d’attesa, riportò il Palermo in serie A. E che importa se, per semplice distrazione, il cambio dell’iniziale ha trasformato il suo nome di battesimo nell’imperativo aspirativo che, partito da Palermo, ha ormai assunto popolarità nazionale. A sinistra, accanto alla plafoniera, un altro spilungone di genio ha disegnato a carboncino con la fiamma di un accendino un cuore con un’iniziale in centro. Di solito l’amore brucia l’anima; qualche volta anche gli ascensori.

Arrivo al quinto piano. L’incontro con il mio paziente appena operato è molto cordiale: sembra di ottimo umore nonostante i due tubi che gli escono dal torace e i due che gli entrano nelle vene. Gli prometto di tornare a trovarlo prima della dimissione e mi avvio sulla strada del ritorno verso il mio reparto al primo piano. Questa volta non prenderò l’ascensore: in discesa tutti i Santi aiutano. La discesa è una mostra permanente di graffiti, vestigia del passaggio dei trogloditi del terzo millennio, che arricchiscono il grigiore anonimo del Ducotone da poco ripassato. I preziosi reperti sono concentrati nelle vicinanze del reparto di Ostetricia dove parenti ed amici in attesa hanno lanciato nel mare di un’anonima parete d’ospedale il loro messaggio nella bottiglia da tramandare ai posteri. D’altra parte, come condannarli ? Da quando, con il Professor Veronesi ministro della Sanità, il fumo fu bandito dai luoghi pubblici, e persino dagli ospedali, come si può impedire ai trepidanti parenti convenuti di ingannare l’attesa per il lieto evento dandosi all’arte figurativa o letteraria.

E così, apprendo con gioia che sono nati Dylan, Brian e Kevin; mi chiedo soltanto come suonerà tra qualche anno il richiamo delle loro mamme all’antico rito del pane e frittata sulla spiaggia di Mondello. Mi compiaccio della nascita del futuro Ultras rosanero Christian, anche se resto disorientato sulla reale fede calcistica dell’artista poiché lì accanto vedo disegnati lo scudetto del Milan e un escremento fumante sovrastato dalla scritta “Catania”. Un grande fregio ornato su tutto il perimetro da fiori contiene un altro annuncio gioioso: “E’ nata la Principessa Desiree. Peso 2,750 kg”. Sulla parete di fronte il disegno di un cuore, ma così grande da contenere quasi tutta la piccola storia di Matilde Maria (finalmente un nome normale): l’artista, che definirei uno storiografo, tramanda ai posteri data e ora di nascita, peso della neonata e nomi di genitori, nonni, zii e cuginetto.

Finalmente la discesa è finita. Mentre infilo la chiave nella toppa della porta d’ingresso nel mio reparto, ascolto due donne sedute sulla panchina della sala d’attesa: “Me’ suoru si ricoverò a Melano. Miiii, si putìa trasiri dall’una alle due. ‘Ddu repartu parìa n’orologio sguizzero”. E poi rivolta a me: “Dutturi, chiffà mi fa trasiri ?”. Rispondo sconsolato vestendomi della severità imposta dal mio camice bianco: “Signora, non è ancora orario di entrata. A Milano non entrerebbe”. La sua risposta suona come un tentativo di riportarmi alla realtà: “E chi cci fa ? Semu ‘m Palermo”. Mentre chiudo la porta la rassicuro: “Sì, signora. Me ne ero già accorto”.

 

 


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