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Balle spaziali (sul web)

Perché limitarsi a raccontare quando si può creare? Come risultato, milioni di bugie circolano sul web.

Nell’onnipotenza del digitale, molti intraprendenti internauti si sono votati all’abbellimento della realtà. Perché limitarsi a raccontare quando si può creare? Come risultato, milioni di bugie circolano sul web.

E in tutti i campi. Utenti creduloni, come svela Severino Colombo nella divertente disamina delle ‘101 s…….. a cui abbiamo creduto almeno una volta nella vita’ (Newton Compton 2011), assumono giornalmente la loro dose di panzane e fotoritocchi, spesso dal successo planetario. La ‘cultura partecipativa’ generata dai social network ha snaturato l’essenza della verità e il suo netto distinguersi dalla menzogna. E se la crescita di informazione pone in parallelo una massa di false notizie insieme all’opportunità di verificarle agevolmente, la rete ha tuttavia una tale autorevolezza da istupidirci, facendoci recepire come vere anche le affermazioni più incredibili.

Grazie al suo ‘potere incantatorio’, come sottolinea il filosofo del linguaggio Raffaele Simone (‘Presi nella rete’, Garzanti 2012), Internet favorisce il proliferare della mistificazione. La possibilità dell’anonimato attenua, o elimina del tutto, l’elemento della deterrenza che limita il mentire. Per una sorta di nemesi, accade poi che ogni virtuale mentitore possa a sua volta essere vittima degli inganni d’un altro bugiardo.

Quanto si imbroglia, come, e perché? Sembra il titolo di un libro di scienze delle medie, ma, posto che si mente davvero tanto, lo si fa principalmente per rendersi più attraenti in taluni settori della sfera privata, a partire dalle relazioni sentimentali. Milioni di cuori solitari ogni giorno si affidano al web, alla ricerca del partner ideale (tre milioni e mezzo di italiani; uno dei siti internazionali più gettonati annovera quasi quattordici milioni di iscritti), e postano annunci personali. Affidabili? Pare proprio di no.

In rete si bara spudoratamente: sull’età, sullo stato civile, sull’aspetto, sulla professione. Ci si presenta come grandi lettori, viaggiatori e, debolezza comprensibile in un popolo negato per le lingue straniere, come poliglotti. Pur dando per scontato che smargiassate e strategiche lacune corroborino, da che mondo è mondo, l’inizio di ogni nuova relazione, si va ben oltre il mentire su gusti e passioni: online ci si descrive più alti, più magri, più sportivi e, soprattutto, più giovani. Le donne ‘migliorano’ il peso e l’età; gli uomini il livello di istruzione, lo stipendio, l’altezza, e -ahinoi- sfrondano lo stato civile da orpelli molesti (mogli e figli!): secondo un’inchiesta pubblicata dalla rivista Mente&Cervello, il 13% dei corteggiatori sul web risulta sposato: la madre di tutte le bugie, ‘sono single’ è più diffusa tra i maschietti. Promuoversi come ricchi e disponibili di primo acchito funziona. Ma le web-balle non finiscono poi per girare a vuoto?

Lo spazio virtuale è una piattaforma di incontri così ampia da permettere di scartare velocemente i potenziali partner ‘difettosi’; la sincerità sembra non pagare, e pertanto si è indotti a fingersi quel che non si è. E si dà il via alla propria auto-rappresentazione, splendidamente lanciati sul viale dell’improvvisazione. Il punto è che l’aver edulcorato (se non stravolto) la realtà, presto o tardi scatena un effetto boomerang. Uno studio condotto dal sito di incontri ‘eDarling’, dall’edificante titolo ‘Anche online le bugie hanno le gambe corte. Errori e frottole dei profili online’, del novembre 2014, rivela che alterare i dati è inutile e controproducente.

Partendo dall’assunto che tutti abbiano almeno un profilo su un social network, e i single anche sui siti di dating, il report dimostra come nel loro ambito si simuli di frequente e altrettanto spesso si venga smascherati. Intervistando 332 membri del sito (50% uomini/50% donne, tra i 18 e i 65 anni), sono state evidenziate le fandonie contenute nei profili. Preliminarmente, si è rilevato che, nella comune considerazione, un account senza la ‘fotina’, in assoluto la prima cosa che si guarda, viene ritenuta la massima espressione di un comportamento omissivo. Il profilo privo di immagine per il 59% degli intervistati non è interessante e non viene accettato tra i contatti. Le foto peggiori, per il 46%, sono ritenute quelle evidentemente modificate, o con occhiali da sole che celano gli occhi e l’espressione (34%); le foto di gruppo (26%), quelle esplicite o volgari (20%), quelle scattate in discoteca (15%) e i selfie (9%).

Riguardo alle informazioni personali, quel che proprio si ritiene sgradevole nei profili, e crea imbarazzo, è ogni allusione sessuale (39%); segue la descrizione insufficiente di sé (34%), l’eccesso di frasi fatte (33%), la manifestazione di un eccessivo narcisismo (32%), gli errori ortografici (30%) e il pessimismo (26%). Il 56% degli utenti ritiene che si imbrogli per mostrarsi al meglio; per il restante 44%, per scarsa autostima. Si mente principalmente riguardo alle proprie intenzioni (50%), all’età (46%), alla foto (45%), allo stato sentimentale (29%), alla professione (22%) e agli hobby (20%).

Quando si incontra una persona che si descriveva in maniera non conforme a quanto ci si trova a constatare, si rimane fortemente delusi; si viene persino scoraggiati dal ritentare l’esperienza. Difatti, la ricerca di nuove conoscenze richiede tempo ed energie, ma non è solo questo. L’aspettativa riguarda la sfera dei sentimenti e coinvolge una ridda di emozioni, che vanno dal desiderio di colmare un vuoto esistenziale alla speranza di estendere la propria rete affettiva. Qualcosa di tremendamente delicato, specie per i soggetti più sensibili, per i quali, nonostante un mondo in cui esondano sfacciataggine ed aggressività, la timidezza è ancora un problema. Ci si aspetta quindi che i profili ritraggano veramente le persone che danno loro vita virtuale; se lo scopo per il quale sono creati è una futura relazione sentimentale, il fondamento non può che essere un resoconto veritiero, che permetta che gli interlocutori si avvicinino quanto più possibile alla conoscenza della loro personalità e del loro status.

Riguardo a un altro dei temi centrali alla sopravvivenza, il lavoro (anche in questo caso la cifra record rispetto alla disoccupazione è pari a tre milioni e mezzo di italiani), accade che gli aspiranti a un impiego, favoriti dalle procedure informatiche, ingigantiscano ruoli e competenze; di contro, le aziende possono controllare con facilità l’autenticità delle informazioni. E’ un fatto che i processi di selezione preliminari a eventuali assunzioni facciano talora riferimento a profili e a note biografiche e curriculari reperibili sul web, grazie alla velocità con cui si può stilare, a basso costo e con un minimo impiego di risorse, una prima rosa di candidati; ma a questa fase segue poi quella di una corretta interpretazione dei dati e del loro severo vaglio. Presto o tardi i nodi giungono al pettine e aver falsato i titoli si traduce in un penalizzante ostracismo.

In un presente sempre più digitalizzato, il cittadino della rete, senza identità e senza volto visibile, tende a sostituire il cittadino reale. I confini della legalità, quelli che per secolare convenzione accettiamo (in quanto limitando noi stessi ci garantiamo il rispetto della nostra integrità, nel generale governo della legge), consapevoli che un hobbesiano ritorno all’era in cui l’uomo era lupo all’altro uomo non è auspicabile, si sono dilatati. Ci viene spiegato che la rete è libertà, che l’anonimato è garanzia per propagandare ogni nostro sapere o arte o aspirazione in piena verità. Si sorvola sul lato oscuro: lo si può fare anche in piena impostura. Un trionfalismo esagerato, che volutamente non pone in evidenza i rischi enormi dell’assenza di regole, si muterà presto in un azzeramento di fasulli traguardi. Seguirà la vittoria del NULLA. In quest’orgia di goduria pseudo-democratica, solo singolarmente ci si rende conto, per diretta ed amara esperienza, di quanto siamo diventati vulnerabili. Si tende a sottacere degli eventi disturbanti il placido mare del web, dello shock causatoci da notizie mostruose che offendono l’umano sentire e provocano orde di malati emulatori, mentre si apprende basiti che a perversione e violenza -purché non contrastino con le regole formali di un social- è consentita visibilità; o, ancora, di quando capiti in prima persona di divenire oggetto di ridicolo o di molestie, e quello che sembrava un gioco divertente si muta in ossessione e vergogna.

Omissioni, bugie bianche, mezze verità; ci si ripete, talvolta, che è a fin di bene, che la verità creerebbe solo angustie. Ma il vezzo di camuffare i difetti, di mentire per coprire un insuccesso, di nascondere un comportamento che ad altri risulterebbe sgradito, induce inesorabilmente a non saper più distinguere tra vero e falso.

In questo Paese è accaduto anche ai massimi vertici. Un gioco dalle regole alterate lo ha trasformato in quel luogo ove ‘la menzogna ideale è del mentitore che parla a una folla sorda o, peggio, che dimentica’ come scriveva, con parole lapidarie, Vincenzo Cerami. Vero e falso appaiono equivalenti. E poiché ci hanno rubato i sogni, è diventato facile ‘mentire a coloro che non hanno futuro, vista l’impossibilità di verifica. Chi non ha futuro è un eterno moribondo, ogni promessa che gli si fa non è mai debito. Si dice che la mezza verità è una menzogna completa, e che le menzogne sono sempre ben vestite, mentre la verità va in giro nuda’. Ma quel che è vero esiste: e la menzogna è solo un’invenzione. E se anche per sostenere una verità è necessario escogitare una bugia, potremmo, smarriti, non riconoscerci più.


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