Il calcio che non c'è più - Live Sicilia

Il calcio che non c’è più

C'era una volta il calcio di Massimino e di Barbera. Ma non finisce oggi, con le notizie sul Catania. Era finito da un pezzo.

Nostalgia canaglia
di
2 min di lettura

Il calcio che non c’è più era “Vai Ameri, vai Ciotti”. Era Roberto Bortoluzzi a ‘Tutto il calcio minuto per minuto’. Era Ezio Luzzi che interrompeva con le cronache della Cremonese il rigore di Platini, decisivo per il campionato. Era la schedina. Era il secondo tempo di una partita che la Rai trasmetteva la domenica pomeriggio e si decideva prima cosa mandare in onda. Poteva essere pure il Catanzaro di Palanca.

Il calcio che non c’è più era in bianco e nero (la tv, non la squadra). Era Zoff che grida “Antoniooooo” a Cabrini nella partita col Brasile di Zico, come per chiamare tutti noi sulla linea di porta. Era lo scopone sull’aereo, i baffoni di Breitner, le parate di Dasaev. Era Bruno Conti che scatta sulla fascia negli ultimi minuti di Italia-Germania e avevamo già capito che stava andando a prendersi il Mondiale. Era la comica esultanza di Altobelli che – alla fine di quell’azione – alza appena le braccia come se avesse segnato un gol al suo cane nel giardino di casa. Era Tardelli che una sera entrò dentro di noi e non è più uscito. Era Zoffgentilecabrini. Era Gianni Brera ed Emilio Violanti.

Il calcio che non c’è più era Angelo Massimino, uomo di terra, di sangue e di cuore. C’era la Nazionale in campo, appunto, contro il Brasile. La moglie lo chiama. Lui continua ad innaffiare le piante: “Se non è il Catania, non mi interessa”. Era Dino Viola, con Romeo Anconetani, Costantino Rozzi, nell’epopea dei presidenti tifosi. Ora la Roma parla americano, l’Inter indonesiano. Solo la Juve parla ancora Agnelli.

Quel calcio era Renzo Barbera, alto e candido, dritto come un albero. Un giorno, da bambino, eccolo per strada, mentre cammino con mio padre. E mio padre – un professore catanese, digiuno di pallone (sapeva a memoria Cicerone, ma ignorava l’esistenza di Paolo Rossi) – si inchina per il saluto riservato ai veramente nobili. “Perché papà?”. “Perché sta passando un galantuomo”.

Questo era il calcio che non c’è più già da un pezzo. L’hanno divorato la tv, la fretta, la diretta su tutto, i soldi. L’ha rovinato quella nausea che ha preso alla gola e strozzato la nostalgia. Perciò non consoliamoci, non cerchiamo alibi. Non diciamo a noi stessi che il calcio è morto, che è finito oggi. Oggi ne abbiamo soltanto seppellito gli ultimi sogni.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI