I D'Agostino e il crac della Sailem | Condanne definitive - Live Sicilia

I D’Agostino e il crac della Sailem | Condanne definitive

Gli imprenditori fecero sparire i beni della società per stoppare le iniziative dei creditori ed evitare che finissero nel calderone di una bancarotta fraudolenta da 43 miliardi di vecchie lire.

PALERMO – Benedetto Benny D’Agostino si è costituito nel carcere Pagliarelli di Palermo. È l’unico finito in cella per scontare un residuo di tre anni della condanna che la Cassazione ha reso definitiva al processo sul crac della Sailem. Sei anni ciascuno per lui e per il fratello Giovan Battista, tre per la moglie Maria Gabriella Ruisi: così hanno deciso i supremi giudici. Torna in appello, ma solo per rideterminare la pena, la posizione di Salvatore Luigi Ferruggia. Pure lui in secondo grado aveva avuto tre anni.

Gli imprenditori fecero sparire i beni della Sailem per stoppare le iniziative dei creditori ed evitare che finissero nel calderone di una bancarotta fraudolenta da 43 miliardi di vecchie lire.

Storia tormentata quella della “Società anonima italiana lavorazioni edili e marittime” e, soprattutto, di uno dei suoi titolari Benny D’Agostino, già condannato per concorso in associazione mafiosa a poco più di tre anni nel processo denominato Trash. Fu anche testimone al processo contro Giulio Andreotti. Disse che Michele Greco, il papa della mafia, gli aveva confidato di avere incontrato più volte l’ex presidente del Consiglio.

La Sailem fu dichiarata fallita nel 1999. I finanzieri accertarono la distrazione dei beni, ceduti senza incassare una lira a parenti e uomini di fiducia. Un elenco lunghissimo che comprendeva quote azionarie, decine di mezzi navali, imbarcazioni e opere d’arte. Ed ancora un panfilo e alcune vetture di lusso, tra cui una una Ferrari F40, furono vendute e i soldi utilizzati per coprire i buchi e pagare gli stipendi di altre società sempre riconducibili agli imprenditori. Furono proprio i lavoratori, rimasti senza stipendio per mesi, a mettere in mora la Sailem e ad avviare le procedure che giunsero all’epilogo del fallimento.

Quando i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria misero il naso nei bilanci della società si trovarono di fronte ad una montagna di irregolarità. Crediti inesistenti, cessioni fittizie, operazioni fantasma: il tutto per evitare che i creditori aggredissero il patrimonio della Sailem. Una parte dei beni è stata venduta, ma il ricavato non poteva certo servire per coprire una voragine contabile da 43 miliardi di lire.

 


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