Parla Maria Concetta Riina: | "Mafia cattiva, ma lo Stato pure" - Live Sicilia

Parla Maria Concetta Riina: | “Mafia cattiva, ma lo Stato pure”

A fine giugno, come ha raccontato LiveSicilia, la nipote di Totò Riina, è stata licenziata dalla concessionaria di automobili per cui faceva la segretaria a Marsala. Il titolare ha ricevuto una nota interdittiva antimafia. La prefettura definisce la sua una presenza inquietante all'interno dell'azienda. E lei non ci sta.

DOPO IL LICENZIAMENTO
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PALERMO – Non ci sta a passare per la cattiva di turno. Cattiva semmai, dice, è la mafia – è l’unica deroga al silenzio che la donna si è imposta su certi temi – ma al pari dello Stato. Perché è per colpa dello Stato, secondo Maria Concetta Riina, 39 anni, nipote di Totò e figlia di Gaetano, che ha perso il posto di lavoro.

A fine giugno, come ha raccontato LiveSicilia, è stata licenziata dalla concessionaria di automobili per cui faceva la segretaria a Marsala. Il titolare ha ricevuto una nota interdittiva antimafia dal prefetto di Trapani. La prefettura definisce la sua una presenza inquietante all’interno dell’azienda. “Sono amareggiata. Mi creda non ho parole per definire il mio stato d’animo. È come se lottassi contro i mulini a vento – racconta la Riina nell’ufficio del suo legale, l’avvocato Giuseppe La Barbera -. Tutto quello che ho costruito nella mia breve vita lo devo al lavoro e ora mi ritrovo in mezzo alla strada. Per niente”.

O forse per un cognome? “La conoscenza di una persona non si deve fermare alle parentele. Una persona va valutata per quello che è e non per il fatto di essere parente di qualcuno. Non è una cosa che posso mandare giù”. Lo dice con convinzione, nonostante sappia che, nel suo caso, i parenti sono il più spietato dei mafiosi – suo zio Totò Riina (che racconta di avere visto una manciata di volte) – e un affiliato a Cosa nostra – suo padre Gaetano (che in cuor suo considera innocente). “È la mia persona che dovete guardare. Mai dato possibilità o adito a cattivi pensieri sul mio conto – aggiunge -. Ho analizzato tutti i mie comportamenti, non mi voglio difendere, ma io sono una persona per bene e lo sanno pure loro”. La sua fedina penale, come confermano i suoi avvocati, è immacolata: “Mai indagata, mai sfiorata da ombre”.

Insomma, la colpa dei padri ricade sui figli? “Io non do colpa a loro per il fatto di chiamarmi così. Io sono una Riina, ma questo non vuol dire che mi devo mettere addosso l’etichetta”. Ma Maria Concetta cosa pensa dei reati commessi dal padre e dello zio? “Non importa cosa penso io, ha provveduto la legge a giudicarli. Quello che ha stabilito la legge per me è ok. Ci sono stati dei processi e su questo non voglio rispondere. Il mio pensiero sui loro comportamenti è e resta mio, non dico nulla. Le autorità giudiziarie si sono espresse e basta questo. Le cose brutte e cattive sono quelle contestate a mio padre e mio zio ma anche quelle che sto vivendo io”.

Lasciamo stare i parenti, e del fenomeno mafioso in generale? “Glielo ripeto, tutte le cose cattive sono sono brutte, anche quella che sto subendo è una cosa cattiva. Sono stata attaccata ingiustamente. Io non possono vivere senza uno stipendio”. È davvero difficile se non impossibile mettere le cose sullo stesso piano, ma Maria Concetta tira dritto: “Le ripeto che sono stati celebrati dei processi. Punto. Tenuto conto che in quanto essere umano ho delle imprescindibili necessità per vivere e sopravvivere, visto che mi tolgono il lavoro, allora lo Stato me ne trovi un altro. Uno dove il mio nome non può avere influenze e mi si consenta di ottenere la giusta retribuzione per la mia prestazione di lavoro”.

L’ultima riflessione, sul piano giuridico, spetta all’avvocato Giuseppe La Barbera, che assieme alle colleghe Michela Mazzola e Claudia Gasperi, sta preparando il ricorso davanti al giudice del lavoro: “A noi non interessa fare un processo mediatico, ma sollevare una questione che consenta di applicare il principio che legge sia uguale per tutti, al di là di paraventi e ipocrisie. Nessuno cerca la fama mediatica, anzi una giusta ed anonima quotidianità. Non contestiamo le norme delle leggi dello Stato, che siamo tenuti ad applicare, ma il mio dovere è difendere il cittadino dalle distorsioni del fine proprio per cui la norma è stata creata. Ecco perché stiamo facendo ricorso contro il licenziamento e stiamo valutando di citare in giudizio lo Stato per i danni che ci sta arrecando”.

 


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