Colpo di scena in appello| Cade il concorso esterno - Live Sicilia

Colpo di scena in appello| Cade il concorso esterno

La sentenza della Corte d’Assise d'Appello di Catania.

Processo Little brown
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CATANIA. E’ stata quasi del tutto sovvertita in appello la sentenza di primo grado del processo denominato “Little brown”, dal nome dell’operazione antimafia condotta, nel gennaio del 2008, dalle Fiamme Gialle del comando provinciale e coordinata dalla Dda di Catania. La prima sezione della Corte di Assise d’Appello di Catania, presieduta da Michelino Ciarcià, ha assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, perché il fatto non costituisce reato, Alfio Brischetto, Leonardo Cantarella, Giuseppe Cucè, Antonio D’Aquino, Giovanni La Rosa, Francesca Prassede, Maria Rita Puzzolo, Salvatore Tarda, condannati in primo grado a 2 anni con pena sospesa, e Roberto Cavallaro, Salvatore Fresta e Francesco Sofia, condannati dalla Corte d’Assise a 6 anni. Confermate invece le condanne per Attilio Amante, 10 anni, Rosario Argiri Carrubba, 8 anni, e Salvatore Benedetto, 6 anni.

L’INCHIESTA. Sono 25 le ordinanze di custodia cautelare eseguite nel gennaio del 2008 dalla guardia di finanza del comando provinciale di Catania nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti affiliati o vicini al clan Brunetto, operante tra Fiumefreddo di Sicilia e i comuni limitrofi. Tra gli arrestati ci sono anche il boss Paolo Brunetto e la moglie di quest’ultimo Carmela Magnera, che patteggiano la pena. Secondo la Procura di Catania dall’attività investigativa, avviata dopo la denuncia di smarrimento di un assegno, emergerebbe un grosso giro di riciclaggio di denaro sporco. Per l’accusa soldi di provenienza illecita. Tra gli indagati ci sono numerosi imprenditori, commercianti e operatori bancari, tutti accusati di riciclaggio. Vengono sequestrate ditte, beni e conti correnti per un valore complessivo di circa 50 milioni di euro. Tra le aziende sottoposte a sequestro c’è anche l’Ambra Transit, ditta di autotrasporti, riconducibile a Paolo Brunetto e in quel momento gestita dalla moglie Carmela Magnera e da Attilio Amante. Le accuse contestate a vario titolo sono associazione mafiosa e riciclaggio. Ma la Cassazione ritiene che non vi sia prova che il denaro sia di provenienza illecita. Al termine dell’udienza preliminare anche il gup Marina Rizza emette sentenza di non luogo a procedere per tutti gli imputati di riciclaggio e rinvia gli atti alla Procura suggerendo l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa. Il pubblico ministero Antonino Fanara riformula per tutti e 15 l’ipotesi di reato in concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte d’Assise di Catania, presieduta da Luigi Russo, li condanna tutti.

LE DIFESE. “La Corte d’Assise aveva condannato per concorso esterno ma con argomenti che riguardavano la vecchia ipotesi di riciclaggio – spiega Fabio Maugeri, difensore di fiducia di Francesco Sofia – Ipotesi che però era stata esclusa sia dalla Corte di Cassazione, in sede cautelare, che dal gip Rizza all’udienza preliminare. Si è voluto tenere in vita un organismo che era già morto. La corte d’Assise d’Appello ha compreso che questi argomenti non avrebbero resistito al giudizio della Cassazione. In questo senso le opinioni di tutti i difensori – conclude il legale – sul concorso esterno sono state con varie sfumature uniformi verso questo risultato”. Anche Giovanni Spada, legale di Roberto Cavallaro, si dice soddisfatto dell’esito. “Sono particolarmente felice che sia stata accolta la tesi difensiva – dichiara il legale – che vedeva l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa non suffragata dal dolo, in quanto i soggetti, gli imprenditori e i bancari, si erano limitati a fare operazioni bancarie lecite, senza l’intenzione di favorire soggetti malavitosi. Sono contento anche perché una condanna a 6 anni per un imprenditore avrebbe pesato come un macigno sul suo futuro”. Un risultato importante anche per il legale di Francesca Prassede, Enzo Iofrida. “Sono soddisfatto della sentenza, soprattutto per il dissequestro di tutti i beni e conti correnti che erano stati disposti dall’autorità giudiziaria – afferma Iofrida – Mi dispiace soltanto che sia trascorso tutto questo tempo per l’accertamento della verità”. E’ agrodolce, invece, il commento di Ernesto Pino, difensore di fiducia di Roberto Cavallaro, assolto, e Salvatore Benedetto, condannato. “Sono soddisfatto per il riconoscimento dell’estraneità ai fatti di Roberto Cavallaro – dichiara il legale – Ma resto perplesso della diversità di valutazione delle prove nei confronti di Salvatore Benedetto, che ha una posizione identica a quella di Cavallaro”.


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