Tutte le ipotesi possibili | su un'intercettazione fantasma - Live Sicilia

Tutte le ipotesi possibili | su un’intercettazione fantasma

Siamo di fronte ad una patacca o ad una polpetta avvelenata, come qualcuno l'ha definita, rifilata a due giornalisti? Oppure qualcuno potrebbe avere fatto qualcosa fuori dalle regole?

PALERMO – La faccenda della conversazione Tutino-Crocetta è seria. Anzi, serissima. La frase-fantasma del medico su Lucia Borsellino (“Va fatta fuori. Come suo padre”) pronunciata davanti ad un silente governatore – secondo L’Espresso – è davvero una bufala? L’interrogativo – che parrebbe superato dalle dichiarazioni ufficiali – tra la gente resta all’ordine del giorno, nonostante la smentita di quattro Procure e gli ultimi risvolti investigativi. È di ieri, infatti, la notizia dell’apertura di un’inchiesta a carico dei giornalisti che hanno scritto l’articolo sul settimanale.

I cronisti Piero Messina e Maurizio Zoppi sono indagati per “pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”. Il solo Messina risponde anche di calunnia. Gli inquirenti sono risaliti alla sua presunta fonte che, però, lo avrebbe smentito.

Esiste o no la conversazione? Seppure l’ago della bilancia, alla luce della presunta calunnia, sembrerebbe pendere con decisione da una parte, laddove ci si attenderebbe una risposta secca – bianco o nero – la tesi ribadita da L’Espresso nei giorni scorsi ( “Uno degli investigatori ha fatto ascoltare ai nostri cronisti il brano audio”) delinea quel grigiore che disorienta. Siamo di fronte ad una patacca o ad una polpetta avvelenata, come qualcuno l’ha definita, rifilata a due giornalisti? Oppure qualcuno potrebbe avere intercettato qualcun altro – in questo caso il medico personale del presidente della Regione e il governatore siciliano colpevole dell’imperdonabile silenzio – fuori dalle regole?

La Procura di Palermo – per la verità anche quelle di Caltanissetta, Messina e Catania che hanno sentito l’esigenza di smentire l’esistenza agli atti della telefonata – non ha autorizzato la registrazione e l’ascolto della conversazione. Altrimenti la stessa sarebbe confluita nell’alveo dell’ufficialità, sia esso rappresentato dai brogliacci non ancora trascritti dai carabinieri o dalle intercettazioni messe nero su bianco e consegnate ai pubblici ministeri di Palermo. Non ci appassiona la questione della “segretezza” dell’atto investigativo che, nell’immaginario collettivo, ha finito per rafforzare l’idea che la telefonata o la conversazione esista ma che la Procura non ne sia ancora a conoscenza. Non esistono segreti per i magistrati che dispongono l’attività investigativa. Semmai gli atti sono ‘segreti’ nei confronti dell’opinione pubblica.

Il cuore della questione in questo caso  si sposterebbe nel pericoloso terreno della non ufficialità dell’intercettazione. E da qui sull’importanza e la opportunità, per altro tornata all’ordine del giorno della politica, delle intercettazioni “rubate”, siano esse ambientali o telefoniche, cioè quelle captate senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. C’è chi, come il presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, ricorda che la registrazione non autorizzata sia servita più volte a fare arrestare gli uomini del pizzo andati a chiedere i soldi all’imprenditore di turno che, sotto la spinta della “legittima difesa”, ha registrato le parole del suo aguzzino. Difficile dargli torno di fronte a quello che rappresenta un reato. Impossibile, però, non sottolineare quanto diversa sia la questione dell’intercettazione Tutino-Crocetta per cui ci si trova, e senza paracadute, di fronte al precipizio rappresentato anche dal solo rischio o sospetto dell’utilizzo dell’intercettazione per interessi privati.

Il sistema giustizia va in tilt. La stortura è sotto gli occhi di tutti, specie per chi frequenta stanze e corridoi del Palazzo di Giustizia, ieri insolitamente e “momentaneamente” – come si affrettava a spiegare il sevizio d’ordine – sbarrato ai cronisti. Una parte della Procura e dei carabinieri del Nucleo antisofisticazione sono impegnati nella ricostruzione ex post di quanto accaduto.

L’Espresso ha messo sul piatto, pur garantendone formalmente l’anonimato, la possibilità che la fonte stessa venisse individuata. Nella nota ufficiale, infatti, dal settimanale scrivevano che “il 2 luglio 2015 alle 13 e 19 la stessa fonte contatta Piero Messina (uno dei due articolisti assieme a Maurizio Zoppi ndr) e gli ricorda la vicenda dell’intercettazione”. Al di là della querela di Crocetta che chiede 10 milioni di euro al settimanale per la diffamazione che ritiene di avere subito, c’erano due alternative investigative: poteva essere cristallizzata una ”fuga di notizie” con l’individuazione del pubblico ufficiale che ha passato la soffiata dell’intercettazione al giornalista oppure si poteva ipotizzare il reato di calunnia. Ed è quest’ultima la pista imboccata dai magistrati.

C’è una profonda differenza fra la diffamazione e la calunnia. La prima è un reato perseguibile solo con una querela di parte (in questo caso quella di Crocetta) e che prevede una pena da sei mesi a tre anni o una multa non inferiore a 516 euro. Più grave è la calunnia, reato per il quale la Procura procede d’ufficio. Si rischia una pena fino a sei anni, che può anche essere più pesante, quando si incolpa falsamente qualcuno, in questo caso la fonte della notizia, davanti all’autorità giudiziaria oppure ad un pubblico ufficiale.

Comunque andrà a finire la storia c’è la certezza che, pur dando per buona la tesi dell‘Espresso che fa a pugni con le smentite della Procura, un fatto privato in quanto extragiudiziario – tale è, fino a prova contraria, una conversazione che non fa parte di alcun atto investigativo – è diventato giudiziario ex post, e cioè quando la stessa Procura di Palermo, a caos avvenuto, ha deciso di aprire un’inchiesta sulla pubblicazione della presunta conversazione Tutino-Crocetta. Extragiudiziaria la telefonata sarebbe stata pure nel caso in cui si fosse deciso di non trascriverla perché penalmente irrilevante nonostante le maglie larghe di quel “contesto” che i magistrati ritengono necessario tracciare per contestare un reato a un indagato. In attesa della verità, la conversazione un effetto lo ha già provocato: distogliere l’attenzione dalle vere, perché certificate dai magistrati, intercettazioni sulla sanità dell’era Crocetta, terra di nomine e interessi la cui liceità traballa sotto il peso delle inchieste giudiziarie.


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