Intrappolati nella stiva |L'orrore nell'incidente probatorio - Live Sicilia

Intrappolati nella stiva |L’orrore nell’incidente probatorio

Il Gip Bernabò Di Stefano ha convalidato i fermi per sette indagati dell'inchiesta sulla traversata dove sono deceduti 49 uomini rinchiusi nella stiva del barcone. Ascoltati i primi cinque testimoni, si continua lunedì.

La tragedia del mare
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CATANIA – Le indagini sull’orrore consumatosi nella stiva della carretta del mare, soccorsa a Ferragosto, trasformatosi nella tomba per 49 uomini procedono a ritmi incalzanti. Il Gip Gaetana Bernabò Di Stefano, già giovedì sera, aveva proceduto alla convalida dei fermi per sette indagati accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di omicidio volontario plurimo. Restano in carcere, dunque, il presunto comandante del barcone sarebbe il 20enne marocchino Ayooub Harboob, e gli altri sette membri dell’equipaggio (nella ricostruzione della Procura) Tarek Jomaa Laamami, 19enne libico, Mohamed Assayd, 18enne libico, Alì Farah Ahmad, 18enne libico, Abd Arahman Monssif, 18enne libico, Mustapha Saaid, marocchino di 23 anni, Isham Beddat, 30anni originario del Marocco. Per il 17enne libico (J. M. le iniziali) si procede parallelamente con il Tribunale dei Minorenni.

Il passo successivo, con un sistema ormai collaudato a Catania sulle inchieste relative agli sbarchi, è stato quello di procedere con l’udienza per l’incidente probatorio in modo da “cristallizzare” le testimonianze di alcuni sopravvissuti, ritenuti testi chiave dai pm Alessandro La Rosa e Alessandro Sorrentino, in vista del processo. Ieri sono stati ascoltati cinque dei 313 sopravvissuti (nella veste di imputati di procedimento connesso) che hanno approfondito i racconti raccolti come sommarie informazioni dagli investigatori durante le operazioni di sbarco e dai soccorritori durante il viaggio verso Catania. Il Gib Bernabò ha aggiornato l’incidente probatorio a lunedì: è previsto l’interrogatorio (con il supporto degli interpreti) di altri quattro testimoni.

All’interno dell’aula del tribunale di Catania è stata ripercorso l’intero “viaggio della speranza”: dal contatto con l’organizzazione al trasferimento nella nave salpata, secondo i racconti, da Surawa in Libia fino al trasbordo nel barcone di 13 metri e la sistemazione dei 49 uomini nella stiva, in trappola. Colpi di cinghia e violenza inaudita sarebbero stati inferti a chi cercava di risalire sul ponte. Forse sentivano la morte soffiare sul collo mentre inalavano i veleni del gas del motore della nave che avrebbe invece dovuto portarli ad una nuova vita.

E invece a Catania quei 49 mariti, fratelli, cugini, figli sono sbarcati dentro (ammassati) in un container frigo: un’immagine “agghiacciante” la gru su cui pensolava la cella refrigerata con all’interno i cadaveri che si stagliava sul cielo di Catania con lo sfondo maestoso dell’Etna. E ancora più orripilante doveva essere per i tanti parenti accuditi dai volontari al molo di mezzogiorno che guardavano, impotenti, quel cassone bianco con la scritta Un e sapere che i corpi dei loro cari erano lì dentro.

Le ispezioni esterne sulle salme da parte dei medici legali continua all’ospedale Cannizzaro e Garibaldi Vecchio. La Procura – per accelerare le procedure – ha “creato” due squadre di medici legali. E già lunedì potrebbe arrivare il conferimento dell’incarico per eseguire dodici esami autoptici approfonditi su 12 vittime: gli inquirenti che l’autopsia sarà necessaria su una parte significativa dei deceduti. Da accertare non c’è solo la causa della morte (quasi certamente per soffocamento) ma anche se sia stata usata violenza e costrizione.

E mentre si allarga la scia di sangue nel Mediterraneo, cresce di ora in ora il numero di migranti che “rischiano” la vita pur di arrivare nelle coste italiane. Due o tremila persone sono in arrivo in Italia dalla Libia: decine di gommoni e barconi – si legge in un lancio Ansa – alla deriva hanno lanciato l’allarme chiedendo l’intervento dei mezzi di soccorso italiani ed europei schierati nel canale di Sicilia. Almeno 18 gli Sos arrivati alla centrale operativa della Guardia Costiera. Un business dello sfruttamento dagli introiti milionari per i trafficanti di esseri umani.

 

 

 


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